OSSERVAZIONI E
RICHIESTE DEL COMITATO LA NOSTRA ARIA, RETE RIFIUTI ZERO LOMBARDIA E COMITATO
ARIA PULITA CENTRO ADDA PER L’INCONTRO IN PROVINCIA DI BERGAMO DEL
1 APRILE 2015
SULLA QUESTIONE
V.I.A. DEL CEMENTIFICIO ITALCEMENTI DI CALUSCO D’ADDA
Premesso che:
a) In data
15.10.2014 Italcementi Spa ha presentato alla Provincia di Bergamo istanza di
modifica sostanziale dell’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata per lo
stabilimento di Calusco d’Adda, con contestuale istanza di Valutazione di
Impatto Ambientale e che il progetto presentato prevede:
- l’incremento da
30mila a 110mila tonnellate/anno del quantitativo di combustibili (costituiti
da rifiuti solidi non pericolosi = CSS) da utilizzare nel forno di cottura del
clinker in parziale sostituzione dei combustibili fossili convenzionali;
- la
diversificazione delle tipologie di rifiuti CSS (Combustibili Solidi Secondari)
utilizzabili. Oltre al Combustibile Derivato da Rifiuti (CDR) per cui è già
previsto e autorizzato l’utilizzo, Italcementi Spa prevede di utilizzare
rifiuti costituiti da plastiche e gomme, pneumatici finemente triturati,
coriandolo di matrice plastica, biomasse legnose, fanghi biologici essiccati,
fanghi dal trattamento biologico delle acque reflue industriali essiccati,
fanghi da altri trattamenti acque reflue industriali essiccati;
- l’utilizzo di
CSS-combustibile ex DM14/2/2013 n.22 (non rifiuto).
b) In data odierna
è in corso una conferenza istruttoria V.I.A. nella quale dovrebbero essere
tenuti in debita considerazione, al fine del completamento dell’iter, alcuni
elementi rilevanti relativi alle possibili conseguenze ambientali e sanitarie
che si avrebbero in caso di V.I.A. favorevole alle modifiche proposte.
Il Comitato La
Nostra Aria, la Rete Rifiuti Zero Lombardia e il Comitato Aria Pulita Centro
Adda, promotori della petizione popolare “BASTA INQUINAMENTO-NO ALLA
TRASFORMAZIONE DEL CEMENTIFICIO ITALCEMENTI S.p.A. IN UN INCENERITORE E
RICHIESTA DI DRASTICA DIMINUZIONE DELLE EMISSIONI INQUINANTI”, che ha raccolto
a oggi almeno 4000 firme (stimate) nel territorio limitrofo allo stabilimento
Italcementi di Calusco d’Adda, intendono portare all’attenzione dei
decisori le considerazioni esposte nei punti seguenti:
1. La co-combustione
di combustibili derivati da rifiuti nei cementifici ha conseguenze sanitarie
misurabili sui residenti nei territori limitrofi, specie in età pediatrica.
Principali evidenze scientifiche.
- Uno studio epidemiologico
pubblicato su rivista internazionale e relativo all’impatto ambientale e
sanitario del cementificio di Fumane (utilizzo di circa 34.000 tonnellate di
combustibile derivato da rifiuti) ha dimostrato che l’incremento delle emissioni
di particolato dall’impianto in esame era in significativa relazione statistica
con il numero delle assenze scolastiche dei bambini residenti nei territori
limitrofi all’impianto, anche in caso di pieno rispetto dei limiti di emissione
concessi dalla legge [1];
- Uno studio pubblicato nel
2012 sulla rivista “Environment International” ha dimostrato che l’esposizione
alle emissioni del cementificio di Mazzano e Rezzato (parziale sostituzione di
combustibili fossili con farine e grassi animali) sono in stretta relazione ad
un incrementato rischio di ricoveri per patologie cardiovascolari e
respiratorie, e che questa relazione è particolarmente evidente in età
pediatrica [2];
- uno studio condotto negli
USA ha dimostrato la presenza di concentrazioni di diossine da 2 a 9 volte più
alte nella polvere domestica di abitazioni entro 3-5 Km da cementifici che utilizzavano
co-combustione di rifiuti [3];
- un secondo studio condotto
negli USA ha dimostrato un incremento significativo del rischio di sviluppare
un linfoma non-Hodgkin nei residenti entro 3 Km da cementifici che utilizzano
co-combustione di rifiuti non pericolose [4];
- incrementi di mortalità per
tumori maligni di colon-retto, colecisti, stomaco, vescica sono stati
dimostrati nei residenti in prossimità di cementifici con co-combustione di
rifiuti [5, 6].
Tali evidenze si sommano ad
altre che dimostrano importanti conseguenze sanitarie e ambientali anche degli
impianti di produzione del cemento che non utilizzano la co-combustione di
rifiuti, ma che sono alimentati con combustibili fossili ad alto impatto
inquinante, come carbone e/o pet-coke, sottolineando l’inutilità, ai fini di un
possibile miglioramento in termini ambientali e sanitari, della sostituzione
dei combustibili fossili con combustibili derivati da rifiuti e l’urgenza di
misure finalizzate alla scelta di ridurre le emissioni di tali impianti utilizzando
NON combustibili derivati da rifiuti (vedi motivazioni di seguito
elencate) ma combustibili fossili a minore impatto ambientale e
sanitario, come il METANO.
2. L’impiego di CSS nei cementifici in
sostituzione di percentuali variabili di combustibili fossili causa produzione
ed emissione di metalli pesanti tossici per l’ambiente e dannosi per la
salute umana in misura significativamente superiore a quella rilevabile in
seguito all’utilizzo di CSS in impianti progettati per questo scopo (gli
inceneritori “classici”) e, negli stessi cementifici, in misura maggiore
rispetto al solo utilizzo di combustibili fossili.
I metalli pesanti sono sostanze che, quando emesse
nell’ambiente, sono in grado di determinare un aumento del rischio sanitario
per i residenti a causa della loro non biodegradabilità (persistenza nell’ambiente),
della capacità di trasferirsi con la catena alimentare e di accumularsi
progressivamente in tessuti biologici (vegetali, animali, umani).
Per la maggior parte di questi microinquinanti,
inoltre, non è determinabile una soglia sotto la quale non siano in grado di
causare conseguenze patologiche sull’organismo umano.
La combustione di CSS in impianti non tecnologicamente
progettati per questa funzione, come i cementifici, genera un’emissione di metalli pesanti quantitativamente
superiore rispetto alla combustione del CSS negli inceneritori classici e,
negli stessi cementifici, rispetto al solo utilizzo di combustibili fossili.
È stato dimostrato che, per alcuni metalli pesanti
(soprattutto quelli dotati di maggiore volatilità), il fattore di trasferimento
di queste sostanze dal combustibile derivato da rifiuti alle emissioni
dell’impianto è di gran lunga maggiore nel caso dei cementifici, quando
confrontati con gli inceneritori classici [7].
Ad esempio, come mostrato nella Tabella (vedi Figura
1) estratta dalla referenza citata [7], il fattore di trasferimento del mercurio (Hg) da
combustibile derivato da rifiuti a emissioni gassose è pari al 5% quando questo
viene utilizzato negli inceneritori, mentre è del 49% nel caso di utilizzo nei
cementifici.
Fattori di trasferimento considerevolmente maggiori
per i cementifici sono anche evidenti nel caso del cadmio, sostanza
riconosciuta come cancerogeno certo (gruppo 1) dalla IARC (emissioni
percentuali 3.7 volte maggiori nel caso dei cementifici) e del piombo (fattore
di trasferimento percentuale 203 volte maggiore nel caso dei cementifici).
Figura 1.
(Fonte: vedi ref.[7])
Tali risultati hanno portato gli Autori dello studio
citato ad affermare, in merito all’utilizzo di combustibile derivato da rifiuti
nei cementifici, che: “Some danger could arise as far as heavy metals are
concerned, chiefly the more volatile ones, due to their presence in the
substitution fuels and their transfer factors to gaseous emissions”
[7].
Il decreto CSS
“end of waste”, approvato in Italia, prevede la presenza, nel CSS, di una serie
di metalli pesanti il cui trasferimento nelle emissioni dei cementifici può
causare gravi danni all’ambiente e alla salute dei residenti nei territori
limitrofi, anche in considerazione del volume delle emissioni gassose di questi
impianti (in media 550,000 Nm3/ora), notevolmente maggiore rispetto al volume
di emissioni gassose degli inceneritori (in media 90,000 Nm3/ora).
Come mostrato nella Figura 2, il decreto citato
prevede la presenza, nel CSS, di quantità rilevanti di arsenico, cadmio, cromo
e nichel, metalli pesanti inclusi nel gruppo 1 IARC (cancerogeni certi). A
questi si sommano altri metalli (ad es. il piombo) in grado di determinare
conseguenze patologiche anche di tipo non oncologico (ad es. danni dello
sviluppo neuro-cognitivo e comportamentale) a elevato costo sanitario e
sociale.
Figura 2. I metalli pesanti nel CSS
La “Tabella 1” del citato decreto (“Classificazione
dei combustibili solidi secondari (CSS)”, Vedi Figura 3) mostra un
valore limite del mercurio (Hg) di 0.06 mg/MJ t.q.
Figura 3. Fonte: Decreto “end of waste” del CSS
Applicando quanto descritto sino ad ora a un esempio
pratico: il cementificio “Buzzi Unicem” di Barletta ha un consumo di energia
primaria pari a 3,884 MJ/ton cemento (Fonte: documentazione “Buzzi Unicem”, Figura
4)
Figura 4. Consumo di energia primaria cementificio
“Buzzi Unicem” di Barletta.
Nello stesso impianto, il contributo termico derivante
dall’utilizzo di rifiuti come combustibile ha raggiunto il 37.5% (25.895 t).
Dunque, 1,442 MJ/t cemento x 0.06 mg Hg (valore limite concesso dal decreto) =
86.5 mg Hg/ton cemento prodotto.
Considerata la produzione annua di cemento
dell’impianto in esame (1.1 milioni di t/anno) e il fattore di trasferimento
del Hg dimostrato per i cementifici (pari al 49% [7]), si avrà che una sostituzione di combustibili
fossili con il 37,5% di CSS produrrà circa 95.2 Kg di mercurio/anno (46.6 Kg
finirà nelle emissioni, 48.5 nelle ceneri).
Nonostante le misure tecnologiche di limitazione delle
emissioni adottate dai cementifici, considerato l’elevato volume di fumi emessi
da tali impianti, la quantità totale di Hg che raggiungerà l’ambiente sarà,
comunque, tale da incrementare in maniera significativa il rischio sanitario
dei residenti nei territori limitrofi.
Limitando l’analisi al solo mercurio, è stato
calcolato che ogni anno in Europa nascono oltre due milioni di bambini con
livelli di mercurio oltre il limite considerato “di sicurezza” dall’OMS
(380,000 in Italia). Si valuta che questo comporti la perdita di oltre 60,000
punti di Quoziente Intellettivo/anno. Considerato che la perdita di un punto di
QI è valutata oltre 17,000 euro, la prevenzione dell’esposizione al solo
mercurio comporterebbe un beneficio economico da 8 a 9 miliardi di euro/anno [8].
Pur tralasciando l’incremento del rischio sanitario da
emissione di metalli pesanti cancerogeni presenti nel CSS (arsenico, cadmio,
cromo, nichel), problemi altrettanto rilevanti derivano dalla presenza,
concessa nel CSS, di quantità rilevanti di piombo (vedi Figura 2).
Come descritto in precedenza, il fattore di
trasferimento del piombo dal CSS alle emissioni è circa 203 volte maggiore nei
cementifici, rispetto agli inceneritori tradizionali, e i valori emissivi sono
resi, nel
caso dei cementifici, ancora più problematici da un
volume medio di fumi emessi circa cinque volte maggiore nei cementifici
rispetto agli inceneritori classici.
Anche per il piombo, come per gli altri metalli
pesanti, il rispetto dei limiti di legge non è in grado di tutelare adeguatamente
l’età pediatrica. L’esposizione a piombo, infatti, come quella da mercurio,
inizia durante la vita fetale (in utero) e comporta un accumulo progressivo e
irreversibile nell’organismo.
Per limitarsi all’assunzione di piombo attraverso
l’acqua potabile, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (“Lead in
Drinking water” – World Health Organization, 2011), l’assunzione di acqua
con concentrazioni di piombo pari a soli 5 μg/L comporta un apporto totale di
piombo che varia da 3.8 μg/giorno in età pediatrica a 10 μg/giorno per un
adulto. Nello stesso rapporto del WHO si afferma che non è identificabile una
soglia minima sotto la quale l’assunzione di piombo non causi conseguenze
patologiche, soprattutto in epoca fetale e in età pediatrica.
Indipendentemente dalle considerazioni sulla
cancerogenicità (il piombo è inserito nel gruppo 2 della IARC), come
evidenziato da un recente e autorevole rapporto del CDC (Center for Disease
Control and Prevention, “Low Level Lead Exposure Harms Children: A Renewed Call
for Primary Prevention”, gennaio 2012), l’esposizione a piombo in età
pediatrica è associata a grave riduzione del quoziente intellettivo e a deficit
dello sviluppo cognitivo, a effetti cardiovascolari, immunologici e endocrini
anche per concentrazioni ematiche molto basse (≤ 5 μg/dL). Per questo il CDC
sollecita qualunque precauzione possibile finalizzata a ridurre l’esposizione a
piombo delle donne in gravidanza e in età pediatrica, compresa l’assunzione con
la dieta.
I dati del registro europeo delle emissioni inquinanti
(Figura 5) mostrano che il cementificio “Buzzi Unicem” di Barletta ha
emesso nel solo anno 2009 (co-combustione già presente) 116Kg di rame e
115 Kg di Nickel (quest’ultimo cancerogeno del gruppo 1 IARC).
Figura 5.
Dati E-PRTR del cementificio Buzzi Unicem di Barletta
Dati forniti dalla stessa “Buzzi Unicem” (Fonte:
documentazione tecnica ufficiale presentata per rinnovo AIA) relativi a
esperienze pilota di combustione di CSS nel cementificio, mostrano come il
co-incenerimento di 8.3t/h di CSS (pari a 200t/g, 52% di sostituzione calorica)
ha causato un incremento delle emissioni di inquinanti da 2 a 4.5 volte
maggiore rispetto all’utilizzo dei soli combustibili fossili (Figura 6).
Figura 6.
Confronto emissioni del cementificio “Buzzi Unicem” di Barletta senza (media
2008) e con (media ottobre 2009) co-combustione di CSS.
L’emissione di Cd+TI, ad esempio, è risultata
pari a 5.73 μg/Nm3 (tripla rispetto all’utilizzo dei soli combustibili
fossili, 1.9 μg/Nm3). Considerato il volume di emissione dei fumi dello stesso
impianto (550,000 m3/hr), nel solo mese di ottobre 2009 la combustione di CSS
nel cementificio “Buzzi Unicem” di Barletta ha causato dunque l’emissione di
circa 2 Kg di Cadmio e Tallio nell’ambiente. Nello stesso mese, le emissioni
calcolate di Sb+As+Pb+Cr+Co+Cu+Mn+Ni+V sono state pari a circa 49 Kg
(circa 4.5 volte maggiori rispetto all’utilizzo dei soli combustibili
fossili).
3. L’attuale legislazione consente la
presenza nel CSS di cloro sino a una quantità pari all’1% s.s.. Questo è in
grado di incrementare le emissioni nell’ambiente di diossine, PCB e altri
composti tossici clorurati persistenti con conseguenze negative sulla
salute umana e in palese violazione della Convenzione di Stoccolma sui POPs.
Il decreto “end of waste” per il CSS consente la
presenza in esso di cloro sino ad una quantità pari all’1% s.s. (vedi Figura
3).
Tale quantità è da considerarsi ad alto rischio per la
formazione e la conseguente emissione in atmosfera di diossine (delle quali il
cloro è precursore) e altri composti tossici clorurati da parte dei cementifici
che impieghino la co-combustione di CSS in sostituzione dei combustibili
fossili.
Le alte temperature presenti in alcuni punti del ciclo
produttivo di questi impianti favoriscono la disgregazione di diossine.
Tuttavia, evidenze scientifiche mostrano con chiarezza come, sebbene le
molecole di diossina abbiano un punto di rottura del loro legame a temperature
superiori a 850°C, durante le fasi di raffreddamento (nella parte finale del
ciclo produttivo la temperatura scende sino a circa 300°C) esse si riaggregano
e si riformano[9], comparendo di conseguenza nelle emissioni.
Rapporti SINTEF[10] e pubblicazioni scientifiche internazionali
documentano la produzione di diossine e di naftaleni policlorurati [11, 12] da parte di cementifici con pratiche di co-combustione e un recente
studio ha dimostrato quantità considerevoli di diossine nella polvere domestica
di case localizzate nei territori limitrofi a cementifici con co-combustione di
rifiuti[3]. Un altro
recente studio ha dimostrato un aumentato rischio di linfoma non-Hodgkin (una
neoplasia già in precedenza messa in relazione alle emissioni di diossine) nei
residenti entro 3Km da cementifici che bruciano rifiuti [4].
La Convenzione di Stoccolma (2001) richiede la messa
in atto di tutte le misure possibili utili a ridurre o eliminare il rilascio
nell’ambiente di composti organici clorurati (POPs) e i cementifici con
co-combustione di rifiuti sono esplicitamente menzionati in essa (Annex C part
II), come “industrial source having the potential for comparatively high
formation and release of these chemicals to the environment”.
Inoltre, anche quando le emissioni di diossine siano
quantitativamente contenute, l’utilizzo di combustibile derivato da rifiuti può
generare la produzione e l’emissione di ingenti quantità di PCB (concentrazioni
migliaia di volte superiori[10]), composti simili alle diossine in termini di
pericolosità ambientale e sanitaria e non normati in Italia.
I dati E-PRTR relativi all’anno 2010 possono essere
utilizzati per confrontare le emissioni di PCB da due cementifici della stessa
azienda (“Italcementi”), uno dei quali senza (Vibo Valentia), l’altro con
(Matera) parziale sostituzione di CSS (5.1%) ai combustibili fossili (Figura
7) . Le emissioni di PCB sono state circa 1.8 volte superiori nell’impianto
che ha utilizzato combustibile derivato da rifiuti, rispetto a quello
alimentato con soli combustibili fossili.
Figura 7.
Dati registro E-PRTR (anno 2010) relativi alla produzione di PCB nei
cementifici “Italcementi” di Vibo Valentia e Matera
Le diossine sono composti non biodegradabili,
persistenti nell’ambiente con una lunga emivita (che per alcuni congeneri
arriva a superare il secolo[13]), trasmissibili con la catena alimentare e,
soprattutto, bio-accumulabili.
La Environmental Protection Agency (USA EPA) ha
recentemente ricalcolato il livello giornaliero di esposizione a diossine considerato non a rischio per
l’organismo umano, che è pari a 0.7pg (0.0007ng) di diossine per Kg di peso
corporeo [14].
Anche qualora gli impianti di produzione di cemento
riuscissero a rispettare la concentrazione-limite per le emissioni di diossine
imposta dalla normativa nazionale (0.1 ng/Nm3), l’elevato volume medio di fumi
in uscita dai cementifici (circa 500,000 m3/hr) determinerebbe la dismissione
nell’ambiente di quantità assolute considerevoli di diossine (0,1ng/m3 x
500,000 m3 = 50,000ng/hr), di molto al di sopra del quantitativo massimo in
grado di tutelare il livello giornaliero di esposizione delle popolazioni
residenti nei territori limitrofi determinato dalla EPA[14], anche considerando che la maggior parte dei
cementifici italiani sono localizzati in piena area urbana o al massimo entro
3Km dalla stessa.
4. L’utilizzo del CSS nel ciclo di
produzione del cemento prevede l’incorporazione delle ceneri tossiche
prodotte dalla sua combustione nel cemento/clinker prodotto. Questo causa
potenziale rilascio di sostanze tossiche nell’ambiente e incremento del rischio
occupazionale di lavoratori inconsapevolmente esposti a sostanze bio-tossiche a
vari livelli.
L’utilizzo di CSS nel ciclo produttivo del cemento
prevede l’incorporazione delle ceneri tossiche da combustione nel
clinker/cemento prodotto.
Numerose osservazioni sperimentali hanno dimostrato
come gli eluati delle scorie pesanti siano tutt’altro che inerti.
Le scorie prodotte dalla combustione dei rifiuti sono
caratterizzate da un elevato contenuto di prodotti chimici estremamente
tossici, il cui rilascio nell’ambiente [15] può generare conseguenze gravi sulla salute umana[16].
Inoltre, quando incorporate nel cemento, le
caratteristiche fisiche di questo
vengono alterate in maniera direttamente proporzionale alla quantità di scorie
impiegate[17], e nel breve termine le alterazioni causate dagli
agenti atmosferici naturali non sembrerebbero garantire il mantenimento dei
limiti imposti dalla legge[18].
L’ossidazione dell’alluminio contenuto nei residui
dell’incenerimento causa produzione di idrogeno nel concreto (tipo di cemento Portland),
in entità tale da danneggiarlo [19].
Le scorie pesanti costituiscono circa l’80% del
residuo dell’incenerimento dei rifiuti e contengono varie sostanze a rischio di
inquinamento ambientale quali diossine[20] (un kg di scorie pesanti contiene circa 34ng di
diossine[21]), metalli pesanti[22] e composti organici di varia natura (principalmente
composti aromatici)[23].
Uno studio condotto sulla biotossicità di eluati di
scorie pesanti prodotti da inceneritori operanti in Belgio, Francia, Germania,
Italia, e Regno Unito, li ha classificati tutti come eco-tossici[24].
È stato dimostrata nelle scorie pesanti una
elevatissima concentrazione di stronzio, che contribuisce in maniera
significativa alla genotossicità di queste sostanze[25], e di
piombo[26], che può arrivare sino ad un massimo di 19.6 mg/L [27], una concentrazione significativamente superiore a quella concessa
dalla normativa Europea (5 mg/l), che comunque prevede di ridurla[28].
Notevoli rischi presenta la difficile stabilizzazione
del cromo, soprattutto nella prospettiva di riutilizzo delle scorie per la
preparazione di cemento [29].
Shim e altri autori hanno dimostrato che la
concentrazione di piombo nell’eluato delle scorie pesanti e leggere spesso
eccedeva i limiti legali in due diversi Paesi [30].
Test di lisciviazione sul cemento hanno dimostrato un
significativo rilascio di arsenico, cromo, bario, antimonio, nichel, selenio,
rame, zinco[29], in alcuni casi con valori che eccedevano i limiti
per il conferimento in discariche per inerti [29].
Una recente osservazione condotta su ceneri prodotte
da inceneritori di rifiuti urbani in Giappone ha segnalato la possibile
presenza di radionuclidi già precedentemente al disastro di Fukushima[31].
In un recente lavoro sulla biotossicità delle scorie
prodotte da inceneritori di rifiuti è stata dimostrata la presenza di
differenze significative nella concentrazione di metalli in eluati da scorie
pesanti. Le concentrazioni valutate con metodica TCLP (“Toxicity
Characteristic Leaching Procedure”) erano inferiori a quelle indicate dalla
normativa di riferimento e, dunque, i materiali di provenienza venivano
indicati come “non pericolosi”. Dagli stessi materiali, tuttavia, una quantità
di metalli notevolmente maggiore veniva estratta con metodica PBET (“Physiologically
Based Extraction Test”), una tecnica che usa succo gastrico simulato come
agente per l’estrazione di inquinanti al fine di valutare la loro
bioaccessibilità a livello del tratto gastrointestinale. In questo modo
venivano estratte concentrazioni
considerevolmente superiori di rame (81–558 mg/kg) e
piombo (28–267mg/kg) rispetto alla prima metodica. Gli autori concludevano che,
“sebbene le scorie pesanti vengano classificate come materiale
non pericoloso, queste dovrebbero essere usate con
cautela e l’ingestione da parte delle popolazioni residenti [come avviene in
materiali e suoli contaminati, n.d.r.] dovrebbe essere evitata”. Nello stesso
studio veniva dimostrata una evidente biotossicità acuta indotta da scorie
pesanti classificate come “non pericolose”[32].
Nelle scorie pesanti è stato anche dimostrato un
elevato contenuto di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), noti agenti
cancerogeni, la cui concentrazione totale varia tra i 480 e i 3590 µg/kg, e la
concentrazione della quota di IPA cancerogeni varia tra 89 e 438 µg/kg di
scorie[33].
I metalli pesanti possono migrare nel suolo e nelle
falde idriche e rappresentare un serio rischio per la salute umana,
trasmettendosi attraverso la catena alimentare ed esercitando azione
genotossica[34] a causa della produzione di un danno ossidativo alle
catene di DNA[27, 35, 36]. Questo particolare meccanismo di genotossicità si esercita anche per
concentrazioni molto basse di singoli contaminanti[37].
Il riutilizzo delle scorie, inoltre, costituisce un
importante fattore di rischio occupazionale[38, 39], a causa principalmente dell’esposizione dei lavoratori a cromo e
cadmio attraverso inalazione e assorbimento transdermico[40].
Valutazioni eseguite su modelli animali, inoltre,
hanno dimostrato che le emissioni derivanti da malte cementizie contenenti
ceneri leggere derivate dalla combustione di rifiuti possono riesacerbare crisi
asmatiche[41].
In lavoratori esposti a ceneri da incenerimento
contenenti IPA e diossine è stata segnalata una alterata espressione genica del
citocromo CYP1B1 nei leucociti periferici, di entità tale da considerare questa
alterazione come marker di danno biologico occupazionale [42].
In risposta alle evidenze scientifiche descritte, la
Danimarca ha rivisto in senso restrittivo la legislazione che regola l’utilizzo
delle scorie pesanti nel settore delle costruzioni, proprio a causa del loro
alto contenuto in metalli pesanti e sali e del loro rilascio nell’ambiente[43].
Sarebbe auspicabile un simile atteggiamento
legislativo da parte del nostro Paese, in attesa dell’abbandono progressivo e
definitivo della tecnica dell’incenerimento a favore di altre strategie di
gestione del ciclo dei rifiuti a cominciare dalla loro riduzione fino al
recupero reale dei materiali, pratiche ormai ampiamente sperimentate,
sicuramente più sostenibili dal punto di vista ambientale e sanitario e più
socialmente ed economicamente vantaggiose per la comunità.
Alla luce delle
considerazioni esposte, i sottoscrittori del presente documento:
- Chiedono che il presente documento sia
protocollato tra gli atti dell’attuale iter autorizzativo e della
conferenza di servizi e ne costituisca parte integrante, ai fini del rispetto
della Convenzione di Aarhus sul diritto di partecipazione, recepita dalla
normativa nazionale.
- Esprimono assoluta contrarietà
al progetto in esame e auspicano un giudizio finale negativo da
parte dei decisori, al fine di garantire la tutela ambientale e sanitaria dei
residenti e nel rispetto dell’articolo 41 della Costituzione.
- Esprimono forte preoccupazione per
le perenni condizioni di forte inquinamento alle quali tutta la popolazione
residente nei pressi dell’impianto in oggetto è sottoposta, considerata la
presenza di BEN 4 INCENERITORI (escluso il forno Italcementi di Calusco)
nel raggio di pochi Km (impianti con impatto sanitario ben documentato dalla
letteratura scientifica nazionale e internazionale). Tale situazione imporrebbe
l’astensione da misure potenzialmente in grado di
peggiorare ulteriormente la qualità dell’ambiente e il livello di rischio
sanitario dei residenti e pone l’indicazione alla verifica dello
stato di salute della stessa popolazione, ancora in larga parte
inesplorato.
A tal fine, qualunque iter
autorizzativo e decisionale relativo ad impianti industriali in quest’area
geografica, non può prescindere sia da un’adeguata ANALISI
EPIDEMIOLOGICA, da condurre sul territorio impattato dalle emissioni
dello stabilimento di Calusco d’Adda, al fine di valutare l’attuale
entità del danno sanitario, che da una VALUTAZIONE DI IMPATTO SANITARIO
(V.I.S.), che, in qualità di strumento di risk assessment, è in grado
di prevedere l’impatto sanitario futuro delle variazioni
proposte.
- esprimono contrarietà all’esecuzione del solo studio tossicologico,
necessario ma non sufficiente a fornire elementi utili alla formulazione della
decisione finale. Tra le osservazioni avanzate dai soggetti coinvolti
nel processo di V.I.A, infatti, si è parlato di effettuare uno studio a carattere
tossicologico. Tale studio non ha la stessa valenza di uno studio
epidemiologico, che evidenzia i reali problemi sanitari della popolazioni
coinvolta. Uno studio tossicologico valuta, infatti, gli effetti degli
inquinanti definiti tali e misurati consentendo solo di
stimare quantitativamente il rischio ambientale, mentre uno
studio di carattere epidemiologico valuta gli inquinanti nella loro totalità,
compresi quelli non misurati. È da sottolineare a questo proposito che alcuni
inquinanti emessi e pericolosi per la salute (ad esempio i PCB o altri composti
organici clorurati differenti da diossine/furani) non sono di solito valutati
nelle analisi tossicologiche o, addirittura, non sono normati. Inoltre, a
parità di concentrazioni inquinanti, gli effetti biologici sono più o meno
gravi ed evidenti a seconda delle caratteristiche fisiopatologiche degli
esposti (ad es. maggiore danno in età pediatrica o geriatrica, in gravidanza,
in caso di patologie croniche etc.).
Inoltre, effetti sanitari misurabili sulla popolazione esposta possono
essere presenti anche in caso di inquinanti al di sotto dei limiti imposti
dalla legge. Il parametro puramente tossicologico, dunque, non è
attendibile ai fini della tutela sanitaria della popolazione esposta, che
dovrebbe essere valutata con gli strumenti epidemiologici indicati nel punto
precedente.
- Chiedono che
venga effettuata una adeguata analisi epidemiologica sia di danno sanitario
(VDS) che di impatto sanitario (VIS). Riteniamo altresì
fondamentale che l’analisi sia svolta congiuntamente dalle ASL di Bergamo e
Lecco e dall’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, sotto
la supervisione del Dott. Crosignani, esperto in materia, in virtù del coinvolgimento di entrambe le province alle ricadute delle
emissioni.
-
- Chiedono che venga effettuata una
VALUTAZIONE DELLO STATO ATTUALE DEL TERRITORIO in termini di contaminazione
delle matrici ambientali (acque, suolo). Questo passaggio è
necessario per capire il livello di contaminazione avvenuta nel tempo da parte
degli inquinanti cancerogeni con
bassissima concentrazione nell’aria (Diossine ,
furani, PCB e IPA). Queste sostanze non sono assunte attraverso l’aria che si
respira, ma attraverso il cibo: infatti le diossine, una volta emesse
attraverso i fumi, contaminano terreno e pascoli, entrano nella catena
alimentare e si accumulano negli organismi viventi. Sarebbe anche utile, a tal
fine, un’analisi a campione della catena alimentare nelle zone di ricaduta del
cementificio.
- Chiedono che Italcementi si
ponga degli obiettivi precisi sull’entità delle future emissioni,
dettagliando i limiti che si intende rispettare ed il relativo piano di
soddisfacimento di tali obiettivi, che al fine di ridurre l’impatto
dell’impianto su ambiente e salute dovrebbe considerare la sostituzione dei
combustibili fossili attualmente utilizzati NON con combustibili derivati da
rifiuti ma con il meno impattante METANO, soluzione già adottata con successo
in numerosi impianti Europei.
- Intendono ribadire
un concetto fondamentale per la natura stessa e l’etica che anima i nostri
comitati: in una Europa che si muove verso Rifiuti Zero, il CSS non dovrebbe
neanche essere contemplato, in quanto composto da materiale che potrebbe essere
in gran parte riciclabile. La Commissione Europea con la Risoluzione del
24/5/2012 si è chiaramente espressa per il divieto di destinare a incenerimento
i rifiuti riciclabili e più recentemente il 2/7/2014 ha ribadito tale indirizzo
nella Comunicazione “Verso un'economia circolare: un programma rifiuti zero per
l'Europa”. Un’istituzione come la Provincia, oltre ad indagare doverosamente
sui danni sanitari, non può non tenere conto di queste linee guida (condivise e
ribadite tra l’alto dalla Regione Lombardia) e agire affinché a livello locale
si effettuino scelte orientate alla riduzione, recupero, riuso e riciclo dei
materiali anziché verso una loro distruzione o verso il conferimento in
discarica. Tali scelte porterebbero un vantaggio molto più evidente per la
collettività sia in termini di sostenibilità ambientale, sia in termini
economici, di sanità e di occupazione.
A firma di:
COMITATO LA NOSTRA ARIA
RETE RIFIUTI ZERO LOMBARDIA
COMITATO ARIA PULITA CENTRO ADDA
Dr. Agostino Di Ciaula – Coordinatore
Comitato Scientifico ISDE Italia
Recapiti:
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