Giorni dalla firma tra Italcementi ed i Comuni

NON HANNO FIRMATO I SINDACI DI : Paderno d'Adda e Solza . HANNO FIRMATO : Calusco d'Adda, Cornate d'Adda, Imbersago, Medolago, Parco Adda Nord, Robbiate, Verderio Inferiore, Verderio Superiore, Villa d'Adda, Dopo più di 1.000 giorni dalla firma ,il 4 Maggio 2012 non si hanno notizie sulla ferrovia . Solo ombre su questo accordo fantasma , polvere , puzza, inquinamento . http://calusco.blogspot.it/2012/05/comunicato-stampa-tavolo-italcementi.html

Countdown alla ferrovia

il tempo e' finito del collegamento ferroviario nessuna notizia ,Piu' di 1.000 giorni TRE ANNI e nulla di fatto, meditate .

Sunday, April 05, 2015

OSSERVAZIONI E RICHIESTE DEL COMITATO LA NOSTRA ARIA, RETE RIFIUTI ZERO LOMBARDIA E COMITATO ARIA PULITA CENTRO ADDA PER L’INCONTRO IN PROVINCIA DI BERGAMO DEL 1 APRILE 2015 SULLA QUESTIONE V.I.A. DEL CEMENTIFICIO ITALCEMENTI DI CALUSCO D’ADDA

OSSERVAZIONI
OSSERVAZIONI E RICHIESTE DEL COMITATO LA NOSTRA ARIA, RETE RIFIUTI ZERO LOMBARDIA E COMITATO ARIA PULITA CENTRO ADDA PER L’INCONTRO IN PROVINCIA DI BERGAMO DEL
1 APRILE 2015
SULLA QUESTIONE V.I.A. DEL CEMENTIFICIO ITALCEMENTI DI CALUSCO D’ADDA

Premesso che:

a) In data 15.10.2014 Italcementi Spa ha presentato alla Provincia di Bergamo istanza di modifica sostanziale dell’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata per lo stabilimento di Calusco d’Adda, con contestuale istanza di Valutazione di Impatto Ambientale e che il progetto presentato prevede:

- l’incremento da 30mila a 110mila tonnellate/anno del quantitativo di combustibili (costituiti da rifiuti solidi non pericolosi = CSS) da utilizzare nel forno di cottura del clinker in parziale sostituzione dei combustibili fossili convenzionali;

- la diversificazione delle tipologie di rifiuti CSS (Combustibili Solidi Secondari) utilizzabili. Oltre al Combustibile Derivato da Rifiuti (CDR) per cui è già previsto e autorizzato l’utilizzo, Italcementi Spa prevede di utilizzare rifiuti costituiti da plastiche e gomme, pneumatici finemente triturati, coriandolo di matrice plastica, biomasse legnose, fanghi biologici essiccati, fanghi dal trattamento biologico delle acque reflue industriali essiccati, fanghi da altri trattamenti acque reflue industriali essiccati;

- l’utilizzo di CSS-combustibile ex DM14/2/2013 n.22 (non rifiuto).

b) In data odierna è in corso una conferenza istruttoria V.I.A. nella quale dovrebbero essere tenuti in debita considerazione, al fine del completamento dell’iter, alcuni elementi rilevanti relativi alle possibili conseguenze ambientali e sanitarie che si avrebbero in caso di V.I.A. favorevole alle modifiche proposte.

Il Comitato La Nostra Aria, la Rete Rifiuti Zero Lombardia e il Comitato Aria Pulita Centro Adda, promotori della petizione popolare “BASTA INQUINAMENTO-NO ALLA TRASFORMAZIONE DEL CEMENTIFICIO ITALCEMENTI S.p.A. IN UN INCENERITORE E RICHIESTA DI DRASTICA DIMINUZIONE DELLE EMISSIONI INQUINANTI”, che ha raccolto a oggi almeno 4000 firme (stimate) nel territorio limitrofo allo stabilimento Italcementi di Calusco d’Adda, intendono portare all’attenzione dei decisori le considerazioni esposte nei punti seguenti:






1. La co-combustione di combustibili derivati da rifiuti nei cementifici ha conseguenze sanitarie misurabili sui residenti nei territori limitrofi, specie in età pediatrica. Principali evidenze scientifiche.

- Uno studio epidemiologico pubblicato su rivista internazionale e relativo all’impatto ambientale e sanitario del cementificio di Fumane (utilizzo di circa 34.000 tonnellate di combustibile derivato da rifiuti) ha dimostrato che l’incremento delle emissioni di particolato dall’impianto in esame era in significativa relazione statistica con il numero delle assenze scolastiche dei bambini residenti nei territori limitrofi all’impianto, anche in caso di pieno rispetto dei limiti di emissione concessi dalla legge [1];
- Uno studio pubblicato nel 2012 sulla rivista “Environment International” ha dimostrato che l’esposizione alle emissioni del cementificio di Mazzano e Rezzato (parziale sostituzione di combustibili fossili con farine e grassi animali) sono in stretta relazione ad un incrementato rischio di ricoveri per patologie cardiovascolari e respiratorie, e che questa relazione è particolarmente evidente in età pediatrica [2];
- uno studio condotto negli USA ha dimostrato la presenza di concentrazioni di diossine da 2 a 9 volte più alte nella polvere domestica di abitazioni entro 3-5 Km da cementifici che utilizzavano co-combustione di rifiuti [3];
- un secondo studio condotto negli USA ha dimostrato un incremento significativo del rischio di sviluppare un linfoma non-Hodgkin nei residenti entro 3 Km da cementifici che utilizzano co-combustione di rifiuti non pericolose [4];
- incrementi di mortalità per tumori maligni di colon-retto, colecisti, stomaco, vescica sono stati dimostrati nei residenti in prossimità di cementifici con co-combustione di rifiuti [5, 6].

Tali evidenze si sommano ad altre che dimostrano importanti conseguenze sanitarie e ambientali anche degli impianti di produzione del cemento che non utilizzano la co-combustione di rifiuti, ma che sono alimentati con combustibili fossili ad alto impatto inquinante, come carbone e/o pet-coke, sottolineando l’inutilità, ai fini di un possibile miglioramento in termini ambientali e sanitari, della sostituzione dei combustibili fossili con combustibili derivati da rifiuti e l’urgenza di misure finalizzate alla scelta di ridurre le emissioni di tali impianti utilizzando NON combustibili derivati da rifiuti (vedi motivazioni di seguito elencate) ma combustibili fossili a minore impatto ambientale e sanitario, come il METANO.






2. L’impiego di CSS nei cementifici in sostituzione di percentuali variabili di combustibili fossili causa produzione ed emissione di metalli pesanti tossici per l’ambiente e dannosi per la salute umana in misura significativamente superiore a quella rilevabile in seguito all’utilizzo di CSS in impianti progettati per questo scopo (gli inceneritori “classici”) e, negli stessi cementifici, in misura maggiore rispetto al solo utilizzo di combustibili fossili.

I metalli pesanti sono sostanze che, quando emesse nell’ambiente, sono in grado di determinare un aumento del rischio sanitario per i residenti a causa della loro non biodegradabilità (persistenza nell’ambiente), della capacità di trasferirsi con la catena alimentare e di accumularsi progressivamente in tessuti biologici (vegetali, animali, umani).
Per la maggior parte di questi microinquinanti, inoltre, non è determinabile una soglia sotto la quale non siano in grado di causare conseguenze patologiche sull’organismo umano.
La combustione di CSS in impianti non tecnologicamente progettati per questa funzione, come i cementifici, genera un’emissione di metalli pesanti quantitativamente superiore rispetto alla combustione del CSS negli inceneritori classici e, negli stessi cementifici, rispetto al solo utilizzo di combustibili fossili.
È stato dimostrato che, per alcuni metalli pesanti (soprattutto quelli dotati di maggiore volatilità), il fattore di trasferimento di queste sostanze dal combustibile derivato da rifiuti alle emissioni dell’impianto è di gran lunga maggiore nel caso dei cementifici, quando confrontati con gli inceneritori classici [7].
Ad esempio, come mostrato nella Tabella (vedi Figura 1) estratta dalla referenza citata [7], il fattore di trasferimento del mercurio (Hg) da combustibile derivato da rifiuti a emissioni gassose è pari al 5% quando questo viene utilizzato negli inceneritori, mentre è del 49% nel caso di utilizzo nei cementifici.
Fattori di trasferimento considerevolmente maggiori per i cementifici sono anche evidenti nel caso del cadmio, sostanza riconosciuta come cancerogeno certo (gruppo 1) dalla IARC (emissioni percentuali 3.7 volte maggiori nel caso dei cementifici) e del piombo (fattore di trasferimento percentuale 203 volte maggiore nel caso dei cementifici).




















Figura 1. (Fonte: vedi ref.[7])



Tali risultati hanno portato gli Autori dello studio citato ad affermare, in merito all’utilizzo di combustibile derivato da rifiuti nei cementifici, che: “Some danger could arise as far as heavy metals are concerned, chiefly the more volatile ones, due to their presence in the substitution fuels and their transfer factors to gaseous emissions[7].

Il decreto  CSS “end of waste”, approvato in Italia, prevede la presenza, nel CSS, di una serie di metalli pesanti il cui trasferimento nelle emissioni dei cementifici può causare gravi danni all’ambiente e alla salute dei residenti nei territori limitrofi, anche in considerazione del volume delle emissioni gassose di questi impianti (in media 550,000 Nm3/ora), notevolmente maggiore rispetto al volume di emissioni gassose degli inceneritori (in media 90,000 Nm3/ora).
Come mostrato nella Figura 2, il decreto citato prevede la presenza, nel CSS, di quantità rilevanti di arsenico, cadmio, cromo e nichel, metalli pesanti inclusi nel gruppo 1 IARC (cancerogeni certi). A questi si sommano altri metalli (ad es. il piombo) in grado di determinare conseguenze patologiche anche di tipo non oncologico (ad es. danni dello sviluppo neuro-cognitivo e comportamentale) a elevato costo sanitario e sociale.












Figura 2. I metalli pesanti nel CSS
Macintosh HD:Users:Agostino:Desktop:Schermata 2014-12-16 alle 21.30.50.png



La “Tabella 1” del citato decreto (“Classificazione dei combustibili solidi secondari (CSS)”, Vedi Figura 3) mostra un valore limite del mercurio (Hg) di 0.06 mg/MJ t.q.

Figura 3. Fonte: Decreto “end of waste” del CSS
Macintosh HD:Users:Agostino:Desktop:Schermata 2014-12-16 alle 22.54.45.png







Applicando quanto descritto sino ad ora a un esempio pratico: il cementificio “Buzzi Unicem” di Barletta ha un consumo di energia primaria pari a 3,884 MJ/ton cemento (Fonte: documentazione “Buzzi Unicem”, Figura 4)



Figura 4.  Consumo di energia primaria cementificio “Buzzi Unicem” di Barletta.
Schermata 2014-10-31 alle 09.41.52.png
















Nello stesso impianto, il contributo termico derivante dall’utilizzo di rifiuti come combustibile ha raggiunto il 37.5% (25.895 t). Dunque, 1,442 MJ/t cemento x 0.06 mg Hg (valore limite concesso dal decreto) = 86.5 mg Hg/ton cemento prodotto.
Considerata la produzione annua di cemento dell’impianto in esame (1.1 milioni di t/anno) e il fattore di trasferimento del Hg dimostrato per i cementifici (pari al 49% [7]), si avrà che una sostituzione di combustibili fossili con il 37,5% di CSS produrrà circa 95.2 Kg di mercurio/anno (46.6 Kg finirà nelle emissioni, 48.5 nelle ceneri).
Nonostante le misure tecnologiche di limitazione delle emissioni adottate dai cementifici, considerato l’elevato volume di fumi emessi da tali impianti, la quantità totale di Hg che raggiungerà l’ambiente sarà, comunque, tale da incrementare in maniera significativa il rischio sanitario dei residenti nei territori limitrofi.
Limitando l’analisi al solo mercurio, è stato calcolato che ogni anno in Europa nascono oltre due milioni di bambini con livelli di mercurio oltre il limite considerato “di sicurezza” dall’OMS (380,000 in Italia). Si valuta che questo comporti la perdita di oltre 60,000 punti di Quoziente Intellettivo/anno. Considerato che la perdita di un punto di QI è valutata oltre 17,000 euro, la prevenzione dell’esposizione al solo mercurio comporterebbe un beneficio economico da 8 a 9 miliardi di euro/anno [8].

Pur tralasciando l’incremento del rischio sanitario da emissione di metalli pesanti cancerogeni presenti nel CSS (arsenico, cadmio, cromo, nichel), problemi altrettanto rilevanti derivano dalla presenza, concessa nel CSS, di quantità rilevanti di piombo (vedi Figura 2).
Come descritto in precedenza, il fattore di trasferimento del piombo dal CSS alle emissioni è circa 203 volte maggiore nei cementifici, rispetto agli inceneritori tradizionali, e i valori emissivi sono resi, nel





caso dei cementifici, ancora più problematici da un volume medio di fumi emessi circa cinque volte maggiore nei cementifici rispetto agli inceneritori classici.

Anche per il piombo, come per gli altri metalli pesanti, il rispetto dei limiti di legge non è in grado di tutelare adeguatamente l’età pediatrica. L’esposizione a piombo, infatti, come quella da mercurio, inizia durante la vita fetale (in utero) e comporta un accumulo progressivo e irreversibile nell’organismo.


Per limitarsi all’assunzione di piombo attraverso l’acqua potabile, secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (“Lead in Drinking water” – World Health Organization, 2011), l’assunzione di acqua con concentrazioni di piombo pari a soli 5 μg/L comporta un apporto totale di piombo che varia da 3.8 μg/giorno in età pediatrica a 10 μg/giorno per un adulto. Nello stesso rapporto del WHO si afferma che non è identificabile una soglia minima sotto la quale l’assunzione di piombo non causi conseguenze patologiche, soprattutto in epoca fetale e in età pediatrica.
Indipendentemente dalle considerazioni sulla cancerogenicità (il piombo è inserito nel gruppo 2 della IARC), come evidenziato da un recente e autorevole rapporto del CDC (Center for Disease Control and Prevention, “Low Level Lead Exposure Harms Children: A Renewed Call for Primary Prevention”, gennaio 2012), l’esposizione a piombo in età pediatrica è associata a grave riduzione del quoziente intellettivo e a deficit dello sviluppo cognitivo, a effetti cardiovascolari, immunologici e endocrini anche per concentrazioni ematiche molto basse (≤ 5 μg/dL). Per questo il CDC sollecita qualunque precauzione possibile finalizzata a ridurre l’esposizione a piombo delle donne in gravidanza e in età pediatrica, compresa l’assunzione con la dieta.

I dati del registro europeo delle emissioni inquinanti (Figura 5) mostrano che il cementificio “Buzzi Unicem” di Barletta ha emesso nel solo anno 2009 (co-combustione già presente) 116Kg di rame e 115 Kg di Nickel (quest’ultimo cancerogeno del gruppo 1 IARC).























Figura 5. Dati E-PRTR del cementificio Buzzi Unicem di Barletta

Macintosh HD:Users:Agostino:Desktop:Schermata 2014-12-16 alle 23.36.51.png





Dati forniti dalla stessa “Buzzi Unicem” (Fonte: documentazione tecnica ufficiale presentata per rinnovo AIA) relativi a esperienze pilota di combustione di CSS nel cementificio, mostrano come il co-incenerimento di 8.3t/h di CSS (pari a 200t/g, 52% di sostituzione calorica) ha causato un incremento delle emissioni di inquinanti da 2 a 4.5 volte maggiore rispetto all’utilizzo dei soli combustibili fossili (Figura 6).














Figura 6. Confronto emissioni del cementificio “Buzzi Unicem” di Barletta senza (media 2008) e con (media ottobre 2009) co-combustione di CSS.

Macintosh HD:Users:Agostino:Desktop:Schermata 2014-12-16 alle 23.40.11.png


L’emissione di Cd+TI, ad esempio, è risultata pari a 5.73 μg/Nm3 (tripla rispetto all’utilizzo dei soli combustibili fossili, 1.9 μg/Nm3). Considerato il volume di emissione dei fumi dello stesso impianto (550,000 m3/hr), nel solo mese di ottobre 2009 la combustione di CSS nel cementificio “Buzzi Unicem” di Barletta ha causato dunque l’emissione di circa 2 Kg di Cadmio e Tallio nell’ambiente. Nello stesso mese, le emissioni calcolate di Sb+As+Pb+Cr+Co+Cu+Mn+Ni+V sono state pari a circa 49 Kg (circa 4.5 volte maggiori rispetto all’utilizzo dei soli combustibili fossili).






3. L’attuale legislazione consente la presenza nel CSS di cloro sino a una quantità pari all’1% s.s.. Questo è in grado di incrementare le emissioni nell’ambiente di diossine, PCB e altri composti tossici clorurati persistenti con conseguenze negative sulla salute umana e in palese violazione della Convenzione di Stoccolma sui POPs.

Il decreto “end of waste” per il CSS consente la presenza in esso di cloro sino ad una quantità pari all’1% s.s. (vedi Figura 3).
Tale quantità è da considerarsi ad alto rischio per la formazione e la conseguente emissione in atmosfera di diossine (delle quali il cloro è precursore) e altri composti tossici clorurati da parte dei cementifici che impieghino la co-combustione di CSS in sostituzione dei combustibili fossili.
Le alte temperature presenti in alcuni punti del ciclo produttivo di questi impianti favoriscono la disgregazione di diossine. Tuttavia, evidenze scientifiche mostrano con chiarezza come, sebbene le molecole di diossina abbiano un punto di rottura del loro legame a temperature superiori a 850°C, durante le fasi di raffreddamento (nella parte finale del ciclo produttivo la temperatura scende sino a circa 300°C) esse si riaggregano e si riformano[9], comparendo di conseguenza nelle emissioni.
Rapporti SINTEF[10] e pubblicazioni scientifiche internazionali documentano la produzione di diossine e di naftaleni policlorurati [11, 12] da parte di cementifici con pratiche di co-combustione e un recente studio ha dimostrato quantità considerevoli di diossine nella polvere domestica di case localizzate nei territori limitrofi a cementifici con co-combustione di rifiuti[3].  Un altro recente studio ha dimostrato un aumentato rischio di linfoma non-Hodgkin (una neoplasia già in precedenza messa in relazione alle emissioni di diossine) nei residenti entro 3Km da cementifici che bruciano rifiuti [4].
La Convenzione di Stoccolma (2001) richiede la messa in atto di tutte le misure possibili utili a ridurre o eliminare il rilascio nell’ambiente di composti organici clorurati (POPs) e i cementifici con co-combustione di rifiuti sono esplicitamente menzionati in essa (Annex C part II), come “industrial source having the potential for comparatively high formation and release of these chemicals to the environment”.
Inoltre, anche quando le emissioni di diossine siano quantitativamente contenute, l’utilizzo di combustibile derivato da rifiuti può generare la produzione e l’emissione di ingenti quantità di PCB (concentrazioni migliaia di volte superiori[10]), composti simili alle diossine in termini di pericolosità ambientale e sanitaria e non normati in Italia.
I dati E-PRTR relativi all’anno 2010 possono essere utilizzati per confrontare le emissioni di PCB da due cementifici della stessa azienda (“Italcementi”), uno dei quali senza (Vibo Valentia), l’altro con (Matera) parziale sostituzione di CSS (5.1%) ai combustibili fossili (Figura 7) . Le emissioni di PCB sono state circa 1.8 volte superiori nell’impianto che ha utilizzato combustibile derivato da rifiuti, rispetto a quello alimentato con soli combustibili fossili.

Figura 7. Dati registro E-PRTR (anno 2010) relativi alla produzione di PCB nei cementifici “Italcementi” di Vibo Valentia e Matera

Macintosh HD:Users:Agostino:Desktop:Schermata 2014-12-17 alle 12.26.05.png










Le diossine sono composti non biodegradabili, persistenti nell’ambiente con una lunga emivita (che per alcuni congeneri arriva a superare il secolo[13]), trasmissibili con la catena alimentare e, soprattutto, bio-accumulabili.
La Environmental Protection Agency (USA EPA) ha recentemente ricalcolato il livello giornaliero di esposizione  a diossine considerato non a rischio per l’organismo umano, che è pari a 0.7pg (0.0007ng) di diossine per Kg di peso corporeo [14].
Anche qualora gli impianti di produzione di cemento riuscissero a rispettare la concentrazione-limite per le emissioni di diossine imposta dalla normativa nazionale (0.1 ng/Nm3), l’elevato volume medio di fumi in uscita dai cementifici (circa 500,000 m3/hr) determinerebbe la dismissione nell’ambiente di quantità assolute considerevoli di diossine (0,1ng/m3 x 500,000 m3 = 50,000ng/hr), di molto al di sopra del quantitativo massimo in grado di tutelare il livello giornaliero di esposizione delle popolazioni residenti nei territori limitrofi determinato dalla EPA[14], anche considerando che la maggior parte dei cementifici italiani sono localizzati in piena area urbana o al massimo entro 3Km dalla stessa.





4. L’utilizzo del CSS nel ciclo di produzione del cemento prevede l’incorporazione delle ceneri tossiche prodotte dalla sua combustione nel cemento/clinker prodotto. Questo causa potenziale rilascio di sostanze tossiche nell’ambiente e incremento del rischio occupazionale di lavoratori inconsapevolmente esposti a sostanze bio-tossiche a vari livelli.

L’utilizzo di CSS nel ciclo produttivo del cemento prevede l’incorporazione delle ceneri tossiche da combustione nel clinker/cemento prodotto.
Numerose osservazioni sperimentali hanno dimostrato come gli eluati delle scorie pesanti siano tutt’altro che inerti.
Le scorie prodotte dalla combustione dei rifiuti sono caratterizzate da un elevato contenuto di prodotti chimici estremamente tossici, il cui rilascio nell’ambiente [15] può generare conseguenze gravi sulla salute umana[16].
Inoltre, quando incorporate nel cemento, le caratteristiche fisiche di  questo vengono alterate in maniera direttamente proporzionale alla quantità di scorie impiegate[17], e nel breve termine le alterazioni causate dagli agenti atmosferici naturali non sembrerebbero garantire il mantenimento dei limiti imposti dalla legge[18].
L’ossidazione dell’alluminio contenuto nei residui dell’incenerimento causa produzione di idrogeno nel concreto (tipo di cemento Portland), in entità tale da danneggiarlo [19].
Le scorie pesanti costituiscono circa l’80% del residuo dell’incenerimento dei rifiuti e contengono varie sostanze a rischio di inquinamento ambientale quali diossine[20] (un kg di scorie pesanti contiene circa 34ng di diossine[21]), metalli pesanti[22] e composti organici di varia natura (principalmente composti aromatici)[23].
Uno studio condotto sulla biotossicità di eluati di scorie pesanti prodotti da inceneritori operanti in Belgio, Francia, Germania, Italia, e Regno Unito, li ha classificati tutti come eco-tossici[24].
È stato dimostrata nelle scorie pesanti una elevatissima concentrazione di stronzio, che contribuisce in maniera significativa alla genotossicità di queste sostanze[25],  e di piombo[26], che può arrivare sino ad un massimo di 19.6 mg/L [27], una concentrazione significativamente superiore a quella concessa dalla normativa Europea (5 mg/l), che comunque prevede di ridurla[28].
Notevoli rischi presenta la difficile stabilizzazione del cromo, soprattutto nella prospettiva di riutilizzo delle scorie per la preparazione di cemento [29].
Shim e altri autori hanno dimostrato che la concentrazione di piombo nell’eluato delle scorie pesanti e leggere spesso eccedeva i limiti legali in due diversi Paesi [30].
Test di lisciviazione sul cemento hanno dimostrato un significativo rilascio di arsenico, cromo, bario, antimonio, nichel, selenio, rame, zinco[29], in alcuni casi con valori che eccedevano i limiti per il conferimento in discariche per inerti [29].
Una recente osservazione condotta su ceneri prodotte da inceneritori di rifiuti urbani in Giappone ha segnalato la possibile presenza di radionuclidi già precedentemente al disastro di Fukushima[31].
In un recente lavoro sulla biotossicità delle scorie prodotte da inceneritori di rifiuti è stata dimostrata la presenza di differenze significative nella concentrazione di metalli in eluati da scorie pesanti. Le concentrazioni valutate con metodica TCLP (“Toxicity Characteristic Leaching Procedure”) erano inferiori a quelle indicate dalla normativa di riferimento e, dunque, i materiali di provenienza venivano indicati come “non pericolosi”. Dagli stessi materiali, tuttavia, una quantità di metalli notevolmente maggiore veniva estratta con metodica PBET (“Physiologically Based Extraction Test”), una tecnica che usa succo gastrico simulato come agente per l’estrazione di inquinanti al fine di valutare la loro bioaccessibilità a livello del tratto gastrointestinale. In questo modo venivano estratte concentrazioni



considerevolmente superiori di rame (81–558 mg/kg) e piombo (28–267mg/kg) rispetto alla prima metodica. Gli autori concludevano che, “sebbene le scorie pesanti vengano classificate come materiale
non pericoloso, queste dovrebbero essere usate con cautela e l’ingestione da parte delle popolazioni residenti [come avviene in materiali e suoli contaminati, n.d.r.] dovrebbe essere evitata”. Nello stesso studio veniva dimostrata una evidente biotossicità acuta indotta da scorie pesanti classificate come “non pericolose”[32].
Nelle scorie pesanti è stato anche dimostrato un elevato contenuto di idrocarburi policiclici aromatici (IPA), noti agenti cancerogeni, la cui concentrazione totale varia tra i 480 e i 3590 µg/kg, e la concentrazione della quota di IPA cancerogeni varia tra 89 e 438 µg/kg di scorie[33].
I metalli pesanti possono migrare nel suolo e nelle falde idriche e rappresentare un serio rischio per la salute umana, trasmettendosi attraverso la catena alimentare ed esercitando azione genotossica[34] a causa della produzione di un danno ossidativo alle catene di DNA[27, 35, 36]. Questo particolare meccanismo di genotossicità si esercita anche per concentrazioni molto basse di singoli contaminanti[37].
Il riutilizzo delle scorie, inoltre, costituisce un importante fattore di rischio occupazionale[38, 39], a causa principalmente dell’esposizione dei lavoratori a cromo e cadmio attraverso inalazione e assorbimento transdermico[40].
Valutazioni eseguite su modelli animali, inoltre, hanno dimostrato che le emissioni derivanti da malte cementizie contenenti ceneri leggere derivate dalla combustione di rifiuti possono riesacerbare crisi asmatiche[41].
In lavoratori esposti a ceneri da incenerimento contenenti IPA e diossine è stata segnalata una alterata espressione genica del citocromo CYP1B1 nei leucociti periferici, di entità tale da considerare questa alterazione come marker di danno biologico occupazionale [42].

In risposta alle evidenze scientifiche descritte, la Danimarca ha rivisto in senso restrittivo la legislazione che regola l’utilizzo delle scorie pesanti nel settore delle costruzioni, proprio a causa del loro alto contenuto in metalli pesanti e sali e del loro rilascio nell’ambiente[43].
Sarebbe auspicabile un simile atteggiamento legislativo da parte del nostro Paese, in attesa dell’abbandono progressivo e definitivo della tecnica dell’incenerimento a favore di altre strategie di gestione del ciclo dei rifiuti a cominciare dalla loro riduzione fino al recupero reale dei materiali, pratiche ormai ampiamente sperimentate, sicuramente più sostenibili dal punto di vista ambientale e sanitario e più socialmente ed economicamente vantaggiose per la comunità.




Alla luce delle considerazioni esposte, i sottoscrittori del presente documento:

- Chiedono che il presente documento sia protocollato tra gli atti dell’attuale iter autorizzativo e della conferenza di servizi e ne costituisca parte integrante, ai fini del rispetto della Convenzione di Aarhus sul diritto di partecipazione, recepita dalla normativa nazionale.

- Esprimono assoluta contrarietà al progetto in esame e auspicano un giudizio finale negativo da parte dei decisori, al fine di garantire la tutela ambientale e sanitaria dei residenti e nel rispetto dell’articolo 41 della Costituzione.

- Esprimono forte preoccupazione per le perenni condizioni di forte inquinamento alle quali tutta la popolazione residente nei pressi dell’impianto in oggetto è sottoposta, considerata la presenza di BEN 4 INCENERITORI (escluso il forno Italcementi di Calusco) nel raggio di pochi Km (impianti con impatto sanitario ben documentato dalla letteratura scientifica nazionale e internazionale). Tale situazione imporrebbe l’astensione da misure potenzialmente in grado di peggiorare ulteriormente la qualità dell’ambiente e il livello di rischio sanitario dei residenti e pone l’indicazione alla verifica dello stato di salute della stessa popolazione, ancora in larga parte inesplorato.
A tal fine, qualunque iter autorizzativo e decisionale relativo ad impianti industriali in quest’area geografica, non può prescindere sia da un’adeguata ANALISI EPIDEMIOLOGICA, da condurre sul territorio impattato dalle emissioni dello stabilimento di Calusco d’Adda, al fine di valutare l’attuale entità del danno sanitario, che da una VALUTAZIONE DI IMPATTO SANITARIO (V.I.S.), che, in qualità di strumento di risk assessment, è in grado di prevedere l’impatto sanitario futuro delle variazioni proposte.

- esprimono contrarietà all’esecuzione del solo studio tossicologico, necessario ma non sufficiente a fornire elementi utili alla formulazione della decisione finale. Tra le osservazioni avanzate dai soggetti coinvolti nel processo di V.I.A, infatti, si è parlato di effettuare uno studio a carattere tossicologico. Tale studio non ha la stessa valenza di uno studio epidemiologico, che evidenzia i reali problemi sanitari della popolazioni coinvolta. Uno studio tossicologico valuta, infatti, gli effetti degli inquinanti definiti tali e misurati consentendo solo di stimare quantitativamente il rischio ambientale, mentre uno studio di carattere epidemiologico valuta gli inquinanti nella loro totalità, compresi quelli non misurati. È da sottolineare a questo proposito che alcuni inquinanti emessi e pericolosi per la salute (ad esempio i PCB o altri composti organici clorurati differenti da diossine/furani) non sono di solito valutati nelle analisi tossicologiche o, addirittura, non sono normati. Inoltre, a parità di concentrazioni inquinanti, gli effetti biologici sono più o meno gravi ed evidenti a seconda delle caratteristiche fisiopatologiche degli esposti (ad es. maggiore danno in età pediatrica o geriatrica, in gravidanza, in caso di patologie croniche etc.).
Inoltre, effetti sanitari misurabili sulla popolazione esposta possono essere presenti anche in caso di inquinanti al di sotto dei limiti imposti dalla legge. Il parametro puramente tossicologico, dunque, non è attendibile ai fini della tutela sanitaria della popolazione esposta, che dovrebbe essere valutata con gli strumenti epidemiologici indicati nel punto precedente.

- Chiedono che venga effettuata una adeguata analisi epidemiologica sia di danno sanitario (VDS) che di impatto sanitario (VIS). Riteniamo altresì fondamentale che l’analisi sia svolta congiuntamente dalle ASL di Bergamo e Lecco e dall’Agenzia Regionale per la Protezione Ambientale, sotto la supervisione del Dott. Crosignani, esperto in materia, in virtù del coinvolgimento di entrambe le province alle ricadute delle emissioni.

-           


- Chiedono che venga effettuata una VALUTAZIONE DELLO STATO ATTUALE DEL TERRITORIO in termini di contaminazione delle matrici ambientali (acque, suolo). Questo passaggio è necessario per capire il livello di contaminazione avvenuta nel tempo da parte degli inquinanti cancerogeni con
bassissima concentrazione nell’aria (Diossine , furani, PCB e IPA). Queste sostanze non sono assunte attraverso l’aria che si respira, ma attraverso il cibo: infatti le diossine, una volta emesse attraverso i fumi, contaminano terreno e pascoli, entrano nella catena alimentare e si accumulano negli organismi viventi. Sarebbe anche utile, a tal fine, un’analisi a campione della catena alimentare nelle zone di ricaduta del cementificio.

- Chiedono che Italcementi si ponga degli obiettivi precisi sull’entità delle future emissioni, dettagliando i limiti che si intende rispettare ed il relativo piano di soddisfacimento di tali obiettivi, che al fine di ridurre l’impatto dell’impianto su ambiente e salute dovrebbe considerare la sostituzione dei combustibili fossili attualmente utilizzati NON con combustibili derivati da rifiuti ma con il meno impattante METANO, soluzione già adottata con successo in numerosi impianti Europei.

- Intendono ribadire un concetto fondamentale per la natura stessa e l’etica che anima i nostri comitati: in una Europa che si muove verso Rifiuti Zero, il CSS non dovrebbe neanche essere contemplato, in quanto composto da materiale che potrebbe essere in gran parte riciclabile. La Commissione Europea con la Risoluzione del 24/5/2012 si è chiaramente espressa per il divieto di destinare a incenerimento i rifiuti riciclabili e più recentemente il 2/7/2014 ha ribadito tale indirizzo nella Comunicazione “Verso un'economia circolare: un programma rifiuti zero per l'Europa”. Un’istituzione come la Provincia, oltre ad indagare doverosamente sui danni sanitari, non può non tenere conto di queste linee guida (condivise e ribadite tra l’alto dalla Regione Lombardia) e agire affinché a livello locale si effettuino scelte orientate alla riduzione, recupero, riuso e riciclo dei materiali anziché verso una loro distruzione o verso il conferimento in discarica. Tali scelte porterebbero un vantaggio molto più evidente per la collettività sia in termini di sostenibilità ambientale, sia in termini economici, di sanità e di occupazione.


A firma di:

COMITATO LA NOSTRA ARIA

RETE RIFIUTI ZERO LOMBARDIA

COMITATO ARIA PULITA CENTRO ADDA

Dr. Agostino Di Ciaula – Coordinatore Comitato Scientifico ISDE Italia








Recapiti:



Bibliografia

[1] Marcon A, Pesce G, Girardi P, Marchetti P, Blengio G, de Zolt Sappadina S, et al. Association between PM10 concentrations and school absences in proximity of a cement plant in northern Italy. International journal of hygiene and environmental health. 2014;217:386-91.
[8] Bellanger M, Pichery C, Aerts D, Berglund M, Castano A, Cejchanova M, et al. Economic benefits of methylmercury exposure control in Europe: monetary value of neurotoxicity prevention. Environmental health : a global access science source. 2013;12:3.
[12] Hu J, Zheng M, Liu W, Li C, Nie Z, Liu G, et al. Characterization of polychlorinated naphthalenes in stack gas emissions from waste incinerators. Environmental science and pollution research international. 2012.



23] Lin YC, Yen JH, Lateef SK, Hong PK, Lin CF. Characteristics of residual organics in municipal solid waste incinerator bottom ash. JHazardMater. 2010;182:337-45.

[24] Lapa N, Barbosa R, Morais J, Mendes B, Mehu J, Santos Oliveira JF. Ecotoxicological assessment of leachates from MSWI bottom ashes. Waste Manag. 2002;22:583-93.
[34] Akinbola TI, Adeyemi A, Morenikeji OA, Bakare AA, Alimba CG. Hospital waste incinerator bottom ash leachate induced cyto-genotoxicity in Allium cepa and reproductive toxicity in mice. ToxicolIndHealth. 2011;27:505-14.

No comments:

Labels