Chi avvelena non paga (e i polmoni non sono suoi)
Elena Marsi
Diario: Anno XII - numero 16 - 27 Aprile 2007
Prendete un capello, guardatelo e inspirate profondamente. Non
è un esercizio yoga, è un invito a riflettere. A meno che non vi troviate a
Saragozza, Turku o Tampere – tra le poche città in Europa in regola in materia
di inquinamento dell’aria – è molto probabile che abbiate inalato una gran
quantità di Pm10 e Pm2,5: polveri tossiche così sottili che il vostro capello,
spesso circa 50 micron, in confronto sembra un tronco di quercia. Breve ripasso.
Cominciamo saccheggiando un volantino, approntato da Legambiente e Medici per
l’ambiente, per quei dottori che intendano diffonderlo in sala d’attesa: 1
micron è una milionesima parte di metro; 10 e 2,5 indicano, in micron, il
diametro infinitesimale di particelle di varie sostanze – solide o liquide –
condensate come in una nebbiolina e diffuse nell’aria per effetto dell’erosione
di suolo ed edifici (questa parte, più grossolana, probabilmente non
particolarmente nociva per la salute) e per effetto di combustione (la
componente pericolosa). Più che di polveri è appropriato quindi parlare di
particolato, o Pm, dall’inglese particulate matter. Roba che per dimensioni
penetra facilmente in profondità nel torace e, per composizione chimica, in
potenza, si candida a far danni di ogni tipo alla salute, sia sul breve periodo
(malattie respiratorie e cardiovascolari) sia a lunga scadenza (tumori
polmonari, infarti, ictus), come è accertato dalla più vasta letteratura
scientifica e certificato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms).
Al 12 aprile 2007, 39 capoluoghi italiani hanno superato la
soglia di legge per il limite giornaliero del Pm10. Dall’inizio dell’anno,
Verona lo ha fatto per 79 giorni, Torino e Padova per 73 giorni, Milano per 60,
Roma per 55 . Al di là di ogni limite di legge: la normativa europea in materia
di aria sana – in una direttiva quadro del ’96, seguita da quattro direttive
«figlie» – parla chiaro. La direttiva 30 del 1999 fissava, senza eccezioni, il
1° gennaio 2005 come data ultima entro cui raggiungere valori limite di Pm10 di
50 microgrammi per metro cubo al giorno (con uno sforamento massimo di 35 giorni
all’anno, non certo 79, 73, 60, 55…) e di una media annuale di 40 microgrammi al
metro cubo (da ridurre a 20 entro il 2010). In più, la legge obbligava gli Stati
membri ad adottare piani d’azione laddove i valori limite fossero superati per
cause diverse da quelle naturali. In assoluto, ricorda a Diario Marco Martuzzi
dell’Oms, non esiste un valore di soglia al di sotto del quale le polveri
sottili sono innocue. A far da cornice a questa sintesi, la Commissione europea
attribuisce al tossico aerosol una riduzione media dell’aspettativa di vita di
nove mesi e ben 370 mila morti premature all’anno in tutta Europa (più o meno il
numero degli abitanti di Bologna). La fonte inquinante numero uno, in base a
molti rapporti, è il trasporto stradale, responsabile nelle grandi città del 70
per cento delle emissioni (seguito dal riscaldamento e dalle produzioni
industriali e agricole). Utile ricordare l’alto tasso di motorizzazione degli
italiani: a Roma, nel 2004, circolavano 73 veicoli ogni 100 abitanti (compresi
non patentati, nonni e neonati). Fin qui niente di nuovo: il ritardo di tre anni
nel recepimento della direttiva quadro e di quella del 1999; le misure tampone
tipo targhe alterne, domeniche a piedi e blocchi del traffico; il fantasma di
multe da pagare all’Unione europea agitato nei titoli dei giornali. Visto che
dal 2005 siamo fuori legge in metà delle nostre città per un numero
impressionante di giorni, questa multa quanto vale? L’Unione europea ce la dà,
non ce la dà? E nel caso, chi pagherebbe la sanzione per lo sforamento
quotidiano dei limiti di Pm10 e Pm2,5? Seguire le tracce della multa significa
addentrarsi in un universo di diffusa inadempienza, sanzioni gigantesche per il
momento solo teoriche, nuove leggi in arrivo, lunghe proroghe, grafici, dati,
ricette, modelli e proiezioni a volontà, solenni promesse, polemiche, misure e
investimenti insufficienti, piccole grandi azioni di comitati e singoli
cittadini.
Partiamo dalla multa. La multa esiste ed è salata. Diario
l’ha calcolata. Ma è solo uno spauracchio. L’istituzione che potrebbe decidere
di comminarla è la Corte di giustizia europea, se mai fosse attivata dalla
Commissione, l’organo chiamato a vegliare sul rispetto della legge da parte
degli Stati membri.
In base alle linee guida approntate nel 2005 dalla Commissione,
la sanzione applicabile all’Italia ammonterebbe a una penalità massima di circa
700 mila euro per ogni giorno di ritardo e inadempienza, a partire dalla
notifica di una sentenza della Corte: quasi 22 milioni di euro per ogni mese di
violazione della legge dal momento della condanna in poi. Oltre alla penalità
giornaliera, ne rischieremmo una forfettaria, che potrebbe aggirarsi intorno ai
600 milioni di euro, mirante a sanzionare anche tutto ciò che non è stato fatto
prima. Non pochi soldi. Che dovrebbero sborsare le Regioni: la Finanziaria ha
introdotto il diritto dello Stato «di rivalersi sui soggetti responsabili degli
obblighi comunitari e internazionali degli oneri finanziari derivanti dalle
sentenze di condanna della Corte» e, al fine di evitare di incorrere in
procedure di infrazione comunitarie, o per porre termine alle stesse, obbliga
gli enti territoriali ad «adottare le misure necessarie a porre tempestivamente
rimedio alle violazioni degli obblighi degli Stati nazionali, loro imputabili,
derivanti dalla normativa comunitaria».
Se vogliamo rincorrere la multa, dobbiamo scendere da Bruxelles
a Roma, e da lì alle nostre Regioni. Ma prima vale la pena di restare in Belgio,
negli uffici della Commissione, direzione ambiente, per capire se il rischio di
pagare queste sanzioni lo corriamo o no. La Commissione con noi, finora, non è
stata troppo tenera. Dal luglio 2004, alcune procedure di infrazione contro
l’Italia sono state avviate, per mancata presentazione dei piani regionali: oggi
tutte le Regioni italiane hanno spedito a Bruxelles un pezzo di carta, ma di più
la Commissione non è autorizzata a raccontare, la procedura è ancora in corso.
In materia di monitoraggio dell’aria si è arrivati a un contenzioso davanti alla
Corte, ma senza conseguenze pecuniarie. E per quanto riguarda il superamento
quotidiano dei valori limite della fine nebbiolina? Niente finora è stato fatto
contro il nostro Stato. Ma si procederà contro l’Italia nel breve periodo?
Risponde la portavoce del greco Stavros Dimas, commissario europeo per
l’ambiente: «Stiamo esaminando ogni singolo caso. Non escludiamo procedure di
infrazione. Questo dipende dalla qualità delle azioni previste dai singoli
Stati, se queste azioni indicano soluzioni realistiche. La nostra prima
preoccupazione non è multare gli Stati, è incentivarli a intraprendere azioni
effettive».
Ammesso che ci voglia un bel po’ a esaminare tutti i valori di
Pm10 relativi al 2005, presentati dagli Stati nel settembre 2006, è evidente che
la Commissione sta prendendo tempo. I motivi possono essere diversi. Intanto,
noi italiani siamo in buona compagnia: eccetto l’Irlanda, tutti gli Stati
europei sono fuori legge, per una parte almeno del territorio. In termini di
zone fuori norma rispetto al valore limite giornaliero, fonti Ue affermano che
si va dal 7 per cento della Finlandia al 100 per cento dei Paesi Bassi; l’Italia
si colloca a metà classifica con il 66 per cento circa. Decidere di trascinare
l’intera Europa davanti ai giudici significherebbe per la Commissione prendere
una decisione collegiale, alla presenza di tutti i commissari, compreso quello
con delega all’industria, per definizione non concentrato soltanto sulle
priorità ambientali, ma anche sulla crescita economica.
E poi è in arrivo – purtroppo non prima di settembre – una
nuova direttiva. Risale al settembre 2005 la proposta della stessa Commissione
di aggiornare la normativa vigente di fronte a due priorità emergenti. Da una
parte le difficoltà, da parte degli Stati membri, a rispettare vincoli temporali
assoluti. Dall’altra la crescita delle evidenze scientifiche sulla pericolosità
per la salute umana del Pm2,5: le particelle più fini, che sono le più dannose,
ancora non sono regolamentate, se non per l’obbligo di farne misurazioni
campione. Urge contenerle con strategie dettagliate. A Bruxelles, parlamento e
Consiglio sono così in procinto di varare in «codecisione» una nuova norma sulla
qualità dell’aria, destinata a sostituire tutte le altre.
Nella legge in arrivo, lo spettro delle multe rimarrà, anche se
per il momento la palla resterà in mano agli Stati e alle loro amministrazioni
locali, seppure guardati a vista dai «vigili» della Commissione. Con quali
margini d’azione? È su questo che discutono parlamento e Consiglio. Il
parlamento, in prima lettura, nel settembre scorso, ha avanzato una proposta di
legge (votata a maggioranza, fatta eccezione per i deputati verdi e non pochi
dissidenti di vari gruppi) che paradossalmente è per certi versi più lassista di
quella promossa dal Consiglio, cioè dagli Stati fuori legge: «In aula», sostiene
l’eurodeputata verde Monica Frassoni, «la lobby automobilistica, soprattutto
tedesca, si è ben organizzata e si è mossa bene, utilizzando in modo capzioso
l’argomento dell’occupazione contro quello della sostenibilità». In pratica,
l’Europa ci dirà: cari Stati membri, visto che avete dimostrato di non
rispettare i valori limite, e di non saper rientrare nella norma dall’oggi al
domani, noi non archiviamo le procedure d’infrazione contro di voi, ma le
sospendiamo. Vi concediamo una proroga dall’entrata in vigore della norma: il
Consiglio propone tre anni, il parlamento allunga a sei. A patto però che a)
dimostriate che non vi è possibile conformarvi ai valori limite per il Pm10 in
determinate zone e agglomerati, per le caratteristiche geografiche e climatiche
(come per esempio in Pianura padana, catino senza vento; b) che in questi casi
predisponiate un piano per la qualità dell’aria strutturato, che dimostri come
(con che quattrini e strategie) i valori limite saranno conseguiti entro il
nuovo termine, con margini massimi di superamento pari al 50 per cento per la
media giornaliera e al 20 per cento per la media annua. Non è un condono: con
questo meccanismo, le multe le pagherebbe soltanto chi non mette sul tavolo le
fiches, chi davvero continua a inquinare senza adottare misure adeguate… .
Chissà se obiettivi forse più realistici – ma sempre più lontani – serviranno
veramente da incentivo per uscire da una logica di pura emergenza. «Il rischio è
quello di avere un’applicazione non omogenea della direttiva, il che si
tradurrebbe in una sorta di “rinazionalizzazione” delle politiche ambientali in
materia» commenta Frassoni. Per quanto attiene ai valori limite del Pm10, quelli
attuali non sono in discussione, anche se il parlamento propone di abbassare la
media annuale dagli attuali 40 a 33 microgrammi, dimostrandosi in questo più
severo del Consiglio. Purtroppo, però, allo stesso tempo, gli eurodeputati
propongono di aumentare da 35 a 55 i giorni concessi per gli sforamenti, ogni
anno, da qui al 2010. In generale la nuova legge si ripromette sul lungo termine
di essere più stringente , ma intanto introduce nuovi elementi di flessibilità.
Se il deterrente delle sanzioni resta tale, almeno si obbligano i singoli Paesi
a investire più risorse ed energie di quelle che la singola multa, pagata ora,
comporterebbe. La linea del governo italiano, in seno al Consiglio, è dura.
Dichiara a Diario il ministro all’Ambiente, Alfonso Pecoraro Scanio: «Gli
effetti dell’inquinamento dell’aria vanno controllati con misure valide per
tutti, senza esclusioni di aree dal calcolo delle concentrazioni degli
inquinanti e fissando dei paletti entro i quali devono ritrovarsi tutti i Paesi
dell’Unione europea. Così pure le deroghe, se sono concesse, devono essere
scientificamente motivate e in ogni caso assolutamente limitate. Altrimenti si
corre il rischio di demotivare gli Stati membri in un momento in cui vanno
sollecitati ad intervenire con decisione e in tempi brevi».
Mentre in Belgio ministri e deputati cercano una conciliazione,
vale la pena, tornando in Italia, di far tappa a Ginevra. Qui il 5 aprile sono
uscite le nuove linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità sul
particolato. L’Oms esorta l’Europa a non rilassare la normativa, ma a
rinvigorirla. Ed è destinata a rimanere inascoltata, almeno per quanto riguarda
i valori limite. Per il Pm10 l’Oms propone di abbassare la soglia annuale a 20
microgrammi per metro cubo: abbiamo visto che parlamento e Consiglio discutono
su limiti più alti, di 33 e 40 microgrammi. Stesso discorso per il Pm2,5. L’Oms
arriva ad accettare 10 microgrammi al metro cubo: in nome del realismo, a
Bruxelles si parla di valori limiti annuali, da rispettare entro il 2010, più
alti (il Consiglio dice 25, il parlamento 20). Questi numerini fanno la
differenza in termini di quintali di roba nera che entra nell’albero
respiratorio. È vero che dietro ognuna di queste proposte ci sono montagne di
studi, ognuno volto a dimostrare la validità dell’una o dell’altra, ma vale la
pena ascoltare Marco Martuzzi dell’Oms: «In Italia, se stessimo davvero dentro
ai 20 microgrammi annuali di Pm10, potremmo risparmiare, da qui al 2020, enormi
costi sociali: dai 9 ai 23 miliardi di euro legati alla mortalità e 5 miliardi
di euro legati alle malattie causate dall’inquinamento da particolato».
Altro che multa. L’impatto del Pm rappresenta un bel problema
di sanità pubblica. Nel nostro Paese, tra il 2002 e il 2004, una media di 8.220
morti l’anno è riconducibile a effetti a lungo termine delle concentrazioni di
Pm10 superiori ai 20 microgrammi l’anno. Per non parlare delle malattie:
bronchiti, asma, sintomi respiratori in bambini e adulti, ricoveri ospedalieri
per malattie cardiache e respiratorie. Tutti quantificati in tabelle e grafici
di uno studio condotto dall’Oms del giugno scorso. Viene da chiedersi: il
diritto alla salute sarà un giorno tutelato meglio? «Forse» risponde Bruno
Nascimbene, docente di diritto comunitario alla Statale di Milano. «Anche perché
la Carta dei diritti fondamentali verrà incorporata nella Costituzione, e quindi
diverrà vincolante». Consoliamoci, un giorno i polmoni potranno appellarsi anche
alla Costituzione.
Arriviamo, con la multa fantasma in tasca a Roma. «Partendo dal
presupposto che è meglio spendere i soldi in investimenti per l’ambiente
piuttosto che pagare salate multe per infrazioni alla normativa europea»
dichiara Pecorario Scanio «fin dai primi giorni di governo ci siamo attivati per
recuperare l’enorme ritardo accumulato nella lotta all’inquinamento e per
fornire all’Italia gli strumenti adatti per non incorrere in sanzioni. Nella
Finanziaria il governo, pur considerando che la qualità dell’aria è materia di
competenza prettamente regionale, ha voluto supportare gli enti locali». Oltre
al fondo triennale di 270 milioni di euro per la mobilità sostenibile
(soprattutto per il potenziamento del trasporto pubblico) inserito nella
Finanziaria, il ministero ha previsto 70 milioni l’anno per tre anni a sostegno
dei singoli piani regionali, 20 per il rilancio del metano, 10 per iniziative di
car sharing (servizi di auto in condivisione). «Ma il contributo del governo non
può essere sufficiente. È importante che governo ed enti locali lavorino in
sinergia per ottenere risultati concreti e utili. Quindi è fondamentale che le
regioni, seguendo le indicazioni europee, mettano a punto piani per la qualità
dell’aria concreti e non semplici annunci di indirizzo. Le amministrazioni
locali devono considerare prioritari gli interventi sull’inquinamento. Gli
scenari delineati dai rapporti internazionali non ammettono inerzia e furbizie.
E questo deve valere tanto per il governo quanto per gli enti territoriali»
conclude il ministro.
Risaliamo in pianura padana. A Milano, il 19 marzo, il
presidente della Regione Roberto Formigoni organizza in grande stile un convegno
sulle politiche per la qualità dell’aria. Passano le slide di relatori giunti da
tutto il mondo, tecnici, amministratori e studiosi. Formigoni-Schwarzenegger
(piace, in Regione, il binomio con Terminator, che in California sul tema mostra
i muscoli) spiega come intende abbattere le emissioni del 50 per cento entro il
2010, forte di un piano sull’aria del 2005, sfociato in una legge regionale, la
n. 24 del 2006. Nell’invocare sostegni mirati in termini di regolamentazione e
di finanziamenti per un’area ad alto rischio inquinamento come quella che
dirige, Formigoni spiega che la legge 24 «è indirizzata ad agire contestualmente
su tutte le sorgenti d’emissione: industria, traffico, agricoltura,
riscaldamento, senza trascurare le azioni a supporto del risparmio energetico,
del potenziamento dei sistemi dei controlli e dell’incentivazione dei
comportamenti individuali virtuosi». E la multa? Risponde Paolo Alli, capo della
segreteria di Presidenza: «Non vediamo la multa come un rischio vicino. Il
nostro piano è ampiamente condiviso dalla Commissione».
I principi sono buoni, ma l’Unione, dagli scranni
dell’opposizione regionale, denuncia che dei 400 milioni di euro dichiarati
dalla Regione a sostegno di queste politiche sul breve termine, più altri 150
sul lungo, nei bilanci, non c’è traccia. Fonti regionali rispondono che la legge
24 ha un’apposita norma finanziaria che prevede che la dotazione economica di
supporto sia stabilita dal Consiglio con legge di bilancio annuale. In Regione
spiegano che la cifra di 150 milioni a lungo termine riguarda le necessità
previste per il supporto a nuove tecnologie, compreso l’idrogeno. E che si
tratta anche in questo caso di un fabbisogno che tiene conto di diversi apporti,
non solo regionali: enti locali, Stato, Ue, partnership pubblico-private. Chissà
quanto inciderà su queste polemiche la nuova direttiva. Se, con la normativa
attuale, la Commissione può solo prendere atto dei piani regionali, con la nuova
legge l’organo europeo passerà alla lente ogni singola politica regionale e
potrà rispedirla al mittente se non la reputa soddisfacente: non ci dovrebbe
essere più spazio per ambiguità.
Al momento la legge 24 manca ancora del regolamento attuativo.
Impugnata, per motivi tecnici, dal ministro per gli Affari regionali Linda
Lanzillotta, la norma è ora all’esame della Corte costituzionale. Il capogruppo
regionale dei Verdi Carlo Monguzzi ribatte che essa nel frattempo potrebbe
tranquillamente seguire il suo iter: «Al di là del fatto che mancano il
regolamento attuativo e i soldi per finanziare la legge, se ci fosse davvero il
miliardo e 300 milioni di euro che Formigoni sbandiera di aver investito in un
patto per la mobilità, saremmo felici». Un piano triennale, per il potenziamento
del trasporto pubblico, in effetti, è in fase di definizione al cosiddetto
Tavolo Milano, alla presenza di Regione, Provincia, Comune e Governo, ma
stanziamenti veri e propri ancora non sono stati fatti. «Abbiamo previsto
investimenti per più di tre miliardi e mezzo di euro» annuncia Formigoni al
convegno «di cui la metà circa già finanziati». Marketing politico, commenta
l’opposizione: il governatore mette enfasi su risorse già allocate nei bilanci
precedenti sulle politiche tradizionali rinominandole con le nuove dizioni
volute dall’Ue. Al di là di un tavolo di consultazione con gli enti locali, la
Lombardia, dall’estate scorsa, vanta l’avvio di una collaborazione quinquennale
con il Centro comune di ricerca di Ispra, avanzato organo scientifico della
Commissione europea, impegnato a elaborare soluzioni tecnologiche (standard come
l’Euro 5, potenzialità dell’idrogeno come vettore energetico pulito) e un
modello di valutazione dell’impatto ambientale dei diversi sistemi di trasporto,
centrato sulla Pianura Padana, lungo il cosiddetto Corridoio V Lisbona-Kiev. Gli
scienziati di Ispra sono anche impegnati in studi sull’identificazione delle
fonti inquinanti, l’abbattimento delle emissioni legate ai trasporti, il
monitoraggio della qualità dell’aria.
Di accordo in accordo, arriviamo al blocco del traffico del
Nord Italia del 25 febbraio scorso, prima misura adottata da un nuovo tavolone
interregionale. Infine, a un patto di strategia comune, siglato con Mercedes
Bresso, collega piemontese, per candidare Lombardia e Piemonte a finanziamenti
in arrivo dall’Europa per la ricerca sull’uso dell’idrogeno. Diario mostra
allora la multa anche a Bresso, che risponde: «I soldi che dovremmo spendere in
sanzioni, li spendiamo nei nostri piani». I tecnici regionali entrano nel
dettaglio. Stimati circa venti milioni di euro di multa a proprio carico, il
Piemonte ne ha investiti altrettanti per varie misure. Un piano della mobilità
prevede, oltre a divieti per la circolazione, una campagna di rottamazione senza
obbligo d’acquisto di nuova auto e la dotazione di filtri antiparticolato per
gli autobus. Altri 15 milioni, in arrivo da Roma, saranno impegnati per il
trasporto pubblico. Una bozza di piano trasporti prevede, nell’arco di un
triennio, la sostituzione di un migliaio di autobus pre-Euro 1 con un impegno
regionale di 205 milioni, mentre una trentina di milioni sono usciti dalle casse
regionali per contribuire all’acquisto di 40 treni Intercity.
Piccole azioni efficaci. Di fronte a tutte queste promesse
per il futuro, norme che entreranno in vigore chissà quando, tavoli, incentivi e
divieti, con la multa in tasca – che potrebbe un giorno pagare lui, sia in soldi
che in salute – che cosa può fare intanto Pantalone? Strapparsi i capelli,
trasferirsi a Turku o Tampere, oppure, se è ricco, comprarsi un’auto ibrida.
Meglio sarebbe cambiare mentalità. E cominciare a pensare all’auto non più come
a un bene di possesso ma di servizio. Magari leggendosi l’ultimo libro di Guido
Viale, Vita e morte dell’auto (Bollati Boringhieri), riflessione sul ruolo
dominante dell’auto privata nella vita quotidiana di ognuno di noi (in termini
di congestione, inquinamento, consumi energetici). E sulla necessità, e
desiderabilità, di un passaggio graduale e negoziato a un sistema di trasporto
pubblico flessibile e integrato. Perché trascinare i sindaci in tribunale pare
non abbia senso: la giurisprudenza non premia il cittadino arrabbiato, la
questione aria è troppo complessa per risalire penalmente a un responsabile.
Allora? Certo, il cittadino può scrivere petizioni al Parlamento europeo o
reclami in Commissione, per segnalare l’inadempienza degli amministratori alla
legge comunitaria, sperando di fare avviare istruttorie: i moduli sono
disponibili on line. Come ha fatto da Milano Enrico Fedrighini: il suo reclamo
presentato in Commissione – sostiene – nel 2005 ha dato un’accelerata alla
presentazione del piano regionale a Bruxelles. Oggi Fedrighini è sugli scranni
dell’opposizione comunale, alle prese con Letizia Moratti e il tormentone di
quest’inverno, ovvero la promessa fatta in campagna elettorale – e non ancora
realizzata– di introdurre un ticket di ingresso alla città per i veicoli piu
inquinanti dei non residenti. Legambiente (leggetevi il suo dossier Mal’aria)
invita i cittadini a fare pressione sugli amministratori affinché adottino
misure reali – come l’allargamento delle corsie preferenziali – per ridurre le
auto in circolazione (e in sosta, sottolinea Viale nel libro). E perché
introducano meccanismi di incentivi, ma anche di disincentivi (non molto
popolari): l’introduzione di pedaggi di ingresso nelle città o tariffazioni
della sosta differenziate per zona. È la strada che probabilmente, per far
cassa, prima o poi molti sindaci intraprenderanno. Il punto fondamentale è che
reinvestano le entrate così ottenute nel potenziamento del trasporto pubblico.
Guido Viale, in particolare, rimarca l’importanza di integrare il trasporto di
linea con servizi personalizzati e prenotabili (come i taxi collettivi). Servizi
davvero in grado di competere in qualsiasi orario e zona con l’«elasticità»
dell’automobile.
Per spingere gli amministratori a risolvere problemi senz’altro
molto complessi, si può cominciare a rivolgere loro domande semplici. Un
minuscolo buon segno: la petizione di 1.500 firme, promossa dal comitato Mamme
antismog di Milano, è stata accolta dal Comune e, dal 1° aprile, i bambini fino
ai dieci anni circolano gratis sui mezzi pubblici, come già accadeva a Roma.
Stringendo tra le mani quella multa in tasca, qualcosa si può negoziare e
ottenere. Respirate, gente, respirate.
No comments:
Post a Comment