Inceneritore: ecco le verità nascoste
Scritto da Coordinamento No Inceneritore Rifiutizero Torino
Pubblicato Mercoledì 11 Gennaio 2012, ore 7,00
Pubblicato Mercoledì 11 Gennaio 2012, ore 7,00
Replica all'intervento di Trm. La contrapposizione con la raccolta differenziata è un dato di fatto. E recenti studi hanno messo in luce i pericoli peer la salute pubblica

1. Rapporto termovalorizzatori/raccolta differenziata. TRM sostiene che la "termovalorizzazione" dei rifiuti - in realtà combustione di materiali eterogenei, con scarso rendimento energetico - “non è in alcun modo contrapposta” alla raccolta differenziata. A dimostrazione di questo, viene suggerita una relazione tra concentrazione di inceneritori ed elevata percentuale di RD (raccolta differenziata) nel Nord Italia: in parole povere, si sostiene che anche laddove gli inceneritori sono presenti in numero maggiore - le regioni settentrionali della Penisola, appunto - la RD anziché diminuire risulta in costante aumento. Tale relazione in realtà non esiste: se la percentuale di RD al Nord è più alta il motivo è che vi sono molti Comuni virtuosi presenti in province prive di inceneritori - come ad esempio Novara e Belluno - che con le loro RD al 70, 80 e talvolta quasi 90% (Ponte delle Alpi in provincia di Belluno è il primatista con una 86,4% di RD) contribuiscono ad aumentare la media. Inoltre c’è da considerare che nel sud Italia i costi di smaltimento in discarica sono notevolmente inferiori a quelli praticati nel nord e sono anche inferiori ai costi di gestione della raccolta differenziata. Questo è causato molte volte dalla non ottemperanza alle leggi vigenti attraverso infiltrazioni della criminalità organizzata (vd. il clan dei Casalesi).


A titolo di esempio ricordiamo che, nel 2008, la Centrale del Latte di Brescia (città dove è presente l’inceneritore più grande d’Italia) ha riscontrato la presenza di diossine - con una tossicità equivalente ben oltre i limiti di soglia (tra i 6,5 e gli 8 picogrammi per grammo di grasso) - nel latte proveniente da sette aziende agricole ubicate nei pressi dell’impianto d’incenerimento. Altre analisi effettuate su alcune mamme di Brescia hanno evidenziato una tasso di diossina pari a 147 pg/g di grasso nel latte materno. Nel 2007, sempre a Brescia, l’Istituto Superiore di Sanità ha misurato le diossine del tipo PCDD-F presenti nell’aria. L’indagine è stata condotta nel mese di agosto, quando il traffico risulta ridotto e quando le principali industrie sono chiuse. Periodo in cui, tuttavia, l’inceneritore funziona regolarmente. Il confronto con altre misurazioni, condotte negli ultimi anni in diverse località nella stagione estiva, mostra chiaramente come le concentrazioni di diossine nell’aria di Brescia siano le maggiori, con quantitativi almeno tripli rispetto alla media. Numerosi altri studi epidemiologici dimostrano, inoltre, gli effetti reali degli impianti d'incenerimento sulle popolazioni che risiedono nei dintorni: basta citare lo studio effettuato - sempre nel 2007 - in provincia di Venezia dal Registro Tumori dell’Istituto Oncologico Veneto.

Inoltre il paragone con caldaie e automezzi non regge, poiché in un inceneritore non si brucia un combustibile noto e omogeneo come benzina o metano, ma un assortimento molto vario e spesso imprevedibile di materiali. Portiamo inoltre l’attenzione sui seguenti confronti: 1) Per teleriscaldare 17 mila abitazioni (fonte TRM) l’impianto è autorizzato a emettere una quantità di polveri paragonabile a quella emessa da 120 mila caldaie domestiche a gasolio o 456 mila a metano. 2) Per quanto riguarda il traffico urbano possiamo dire che, calcolando una percorrenza media di 15 km al giorno nel contesto cittadino, l’inceneritore è autorizzato ad emettere una quantità di polveri paragonabile a quella sprigionata da 213 mila auto diesel di categoria Euro 4. Tutto questo in un contesto già provato come quello torinese, dove dal 2001 si supera ampiamente la soglia limite annuale di polveri sottili (40 microgrammi per metrocubo). Ricorrere ad un impianto di incenerimento, che contribuirà a far salire ulteriormente la concentrazione degli inquinanti in atmosfera, è in conflitto con il dovere di tutela della salute dei cittadini a cui ogni pubblica amministrazione dovrebbe ottemperare. Non si può non affrontare, poi, il problema delle ceneri prodotte dalla combustione (la cui quantità in peso è pari a circa il 30% dei rifiuti immessi in un inceneritore). La frazione “volatile” di esse è pericolosa e dovrebbe pertanto essere stoccata in discariche speciali, nel caso del Gerbido non ancora individuate. L’utilizzo della parte rimanente per i sottofondi stradali o come riempitivo nei mattoni per fabbricati appare problematico, perché tali ceneri devono prima essere rese “inerti”, ossia non più in grado di nuocere dato il loro elevato tasso di pericolosità.
3. Incentivi. Per quanto riguarda gli incentivi, anche se dal 1999 i contributi CIP6 sono stati sostituiti dai Certificati Verdi, essi in realtà non spetterebbero agli inceneritori: il problema è che l'Italia non si attiene alle direttive europee in materia. In tutta Europa la vendita di elettricità prodotta bruciando rifiuti avviene a prezzi molto simili a quella dell’elettricità prodotta da fonti convenzionali (olio combustibile, carbone, metano), pari a circa 4 centesimi per chilowattora. In Italia la vendita di elettricità prodotta con un inceneritore frutta al gestore dell’impianto da 9 a 14 centesimi a chilowattora. Questo significa che il gestore, per ogni tonnellata di rifiuto incenerito, grazie all’elettricità prodotta (0,5 chilowattora per chilogrammo di rifiuto incenerito), riceve un incentivo che varia da 25 a 50 euro (per l’impianto del Gerbido infatti sono previsti 18 milioni di euro annui dai Certificati Verdi). Questo flusso di denaro esce dai portafogli di tutte le famiglie italiane, con un prelievo “occulto” del 7% sulla bolletta della luce. L'inceneritore ha pertanto un evidente fine lucrativo, che però risulterebbe in realtà inesistente se non si reggesse su tale sistema di incentivi non dovuti. Verificando, infatti, lo schema di Conto Economico predisposto da TRM per l’anno 2013 ci accorgiamo che senza i Certificati Verdi l’impianto avrebbe un passivo annuo di almeno 7 milioni di euro.

Un altro innegabile vantaggio, questo, rispetto ad un inceneritore, dove il personale è quasi esclusivamente composto da tecnici altamente specializzati (non necessariamente provenienti dall’area geografica dove sorge l’impianto). È chiaro che, nonostante tutti gli accorgimenti adottati, una piccola quantità di rifiuti trattati a freddo finisce comunque in discarica: tuttavia tale frazione (composta da inerti e pellicole di plastica) diminuirà progressivamente (dato che è composta da materiali teoricamente recuperabili, ma ancora di difficile riuso). Inoltre - come spiegato in precedenza - anche gli inceneritori hanno bisogno di discariche dove stoccare i residui della combustione (per di più tossici, mentre la potenzialità inquinante degli scarti del TMB è ridotta del 90%). Le emissioni di C02 (Anidride Carbonica) evitate grazie al TMB non hanno infine confronti rispetto non solo agli inceneritori, ma anche alle altre modalità di trattamento dei rifiuti. In Europa e in Italia il TMB è già una realtà. E a riprova che questo tipo di trattamento - a differenza di quanto sostiene TRM - si adatta bene anche ad un’estesa area urbana, citiamo i seguenti esempi di impianti TMB: Madrid - con un carico rifiuti trattati di 480.000 t/a (tonnellate all'anno) contro le 421.000 t/a di rifiuti bruciati dall'inceneritore del Gerbido -, Barcellona Ecoparc I - 300.000 t/a - e Barcellona Ecoparc II (265.000 t/a). A questo punto sorge spontanea una domanda, con cui concludiamo: perché non è possibile costruire impianti di trattamento a freddo anche a Torino?http://www.lospiffero.com/ballatoio/inceneritore-ecco-le-verita-nascoste-293.html
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