Giorni dalla firma tra Italcementi ed i Comuni

NON HANNO FIRMATO I SINDACI DI : Paderno d'Adda e Solza . HANNO FIRMATO : Calusco d'Adda, Cornate d'Adda, Imbersago, Medolago, Parco Adda Nord, Robbiate, Verderio Inferiore, Verderio Superiore, Villa d'Adda, Dopo più di 1.000 giorni dalla firma ,il 4 Maggio 2012 non si hanno notizie sulla ferrovia . Solo ombre su questo accordo fantasma , polvere , puzza, inquinamento . http://calusco.blogspot.it/2012/05/comunicato-stampa-tavolo-italcementi.html

Countdown alla ferrovia

il tempo e' finito del collegamento ferroviario nessuna notizia ,Piu' di 1.000 giorni TRE ANNI e nulla di fatto, meditate .

Friday, July 01, 2005

RISCHI E DANNI PER LA SALUTE NELLE AREE METROPOLITANE, AEROPORTI - AUTOSTRADE DISCARICHE INCENERITORI

RISCHI E DANNI PER LA SALUTE NELLE AREE METROPOLITANE, AEROPORTI - AUTOSTRADE DISCARICHE INCENERITORI
Caldiroli Marco, Centro per la Salute "Giulio A. Maccacaro" , Castellanza (VA)
Premessa
La materia dell’impatto ambientale di opere (siano essi aeroporti, autostrade, ferrovie, impianti di smaltimento di rifiuti) nonostante il tempo trascorso dalla prima direttiva europea è ancora tutto da costruire o, meglio, da far uscire, per usare le parole di Virginio Bettini dall’essere usata come "procedura sequenziale di pseduconcetti, artefatto convenzionale destinato alla giustificazione di ogni iniziativa tecnologica. La VIA come specchio della corretta tecnologia, della <> nell’ovvio quadro dei falsi concetti legati allo <> " (V. Bettini et al,Ecologia dell’impatto ambientale, 2000). La spinta attuale è verso una "VIA semplificata" ha lo stesso segno della politica sui rifiuti nel nostro paese : l’ex Ministro Edo Ronchi escluse, alla fine del 1999, esplicitamente dalle "procedure di compatibilità ambientale" a livello regionale, gli impianti di incenerimento purchè fossero tra quelli per i quali sono previste le "procedure semplificate", tra questi i cosiddetti "impianti di recupero energetico" alimentati a CDR, una applicazione distorta e solitaria - della direttiva europea sui rifiuti.
Il testo che ho citato tra gli altri ricostruisce la storia delle tecniche di VIA e le fasi della VIA stesso insistendo sia sul ruolo di una impostazione preliminare e aperta degli studi necessari (fase di screening) e sulla definizione della rilevanza degli impatti (fase di scoping) che sul ruolo che ha l’informazione, la partecipazione e il parere della popolazione interessata. O la VIA è una forma di democrazia, di autogoverno del territorio, o è solo uno scocciante passaggio burocratico in più che non è in grado di mettere in discussione nulla.
Non è inutile ricordare qui l'importanza di una corretta Valutazione di Impatto Ambientale quale strumento di intervento, a monte della definizione di progetti e di scelte, in grado di ridiscutere le scelte di pianificazione economica, ovvero la necessità che la V.I.A sia distinta ma interrelata con i processi di elaborazione, valutazione e decisione non limitata al singolo impianto ma ai diversi scenari alternativi possibili. In tal senso la V.I.A. si configura quale strumento di acquisizione di informazioni sulle possibili interazioni qualitative e quantitative tra le diverse soluzioni proposte e l'ambiente e come strumento per individuare le possibili alternative progettuali, localizzative e di pianificazione ( in tal senso non può venir considerato, come spesso fanno gli estensori di piani locali di organizzazione dei servizi di smaltimento dei rifiuti come di un dato immodificabile e solo da attuare con gli impianti ivi previsti).
Nel campo dei rifiuti va evitata in particolare una visione del problema come a sè stante e non come parte di processi produttivi e di consumo su cui è possibile intervenire. Se l'obiettivo è quello di prevenire un impatto e non di dimostrare che un determinato impianto ha un impatto più o meno ambientalmente e socialmente "accettabile", la considerazione dei rifiuti va svolta a partire dal considerarli come parte del flusso di energia e materia nel ciclo complessivo di uso e di trasformazione delle risorse .
Tale considerazione esclude in partenza ogni obiettivo predefinito fondato sostanzialmente su una unica, e rigida, opzione tecnologica quale è l'incenerimento.
Non è inutile ricordare che la V.I.A. è uno strumento di partecipazione pubblica per aprire al confronto tutte le parti sociali coinvolte con i processi decisionali riguardanti le risposte da dare ai problemi esistenti. Non va considerata come la soluzione ai conflitti che emergono a livello sociale ma rende esplicite le conseguenze di modelli d'uso delle risorse alternativi mettendone in evidenza gli effetti globali sull'ambiente, proprio per questo è decisivo il ruolo del pubblico nella procedura complessiva di V.I.A. .
In questo ambito si rammenta il un ruolo particolare :
· della cosiddetta Valutazione Ambientale Strategica (VAS) ovvero l’adattamento della procedura di VIA alla valutazione delle conseguenze ambientali di politiche economiche-territoriali, di piani e di programma (distinguendo in VAS settoriale es. un piano di smaltimento rifiuti locale - , VAS regionale o di area vasta, cioè in grado di considerare tutte le attività di una determinata zona; VAS indiretta, non legata a progetti specifici ma a piani e programmi di diverso genere come anche le politiche fiscali o le privatizzazioni); sulla VAS un primo passo normativo è stato fatto con l’emanazione della Direttiva 2001/42/CE del 27 giugno 2001 concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente.
· La valutazione degli impatti cumulativi ovvero "l’impatto sull’ambiente conseguente all’aumento di impatto del progetto quando si somma ad altri impatti passati, presenti o ragionevolmente prevedibili in futuro", l’inserimento di un’opera con un proprio impatto ambientale può comportare effetti ben superiori a quelli diretti dovuti alla combinazione di stress esistenti e degli effetti secondari individuali di una serie di azioni nel tempo (come inserire un determinato impianto in un’area già "satura" di opere). Possono sono essere impatti dello stesso genere (più progetti dello stesso tipo) o eterogenei, possono comportare un impatto additivo o incrementale, piuttosto che sinergico o anche "agnostici", senza modifica o anche con una riduzione degli impatti. Relativamente ad opere che hanno riflessi sulla qualità di specifiche matrici ambientali i casi sono quasi esclusivamente additivi o sinergici, quando questi hanno diretti impatti sanitari su una collettività vasta, l’effetto sinergico è altamente probabile. Per quanto concerne questi aspetti le metodologie di valutazione sono tra quelle più recenti (l’EPA, nel 1999, ha prodotto una analisi di tali metodi), complesse, ma anche che possono dare risultati importanti ad una popolazione per la conoscenza del proprio territorio e dei rischi presenti nonché per poter inquadrare anche una singola proposta nel reale contesto territoriale.

1. Impatto specifico dei processi di incenerimento dei rifiuti
In estrema sintesi i principali impatti sull’ambiente e sulla salute sono connessi alle emissioni dal camino dell’impianto e alla produzione e gestione dei residui solidi (ceneri leggere, ceneri pesanti, scorie, altri residui dai processi di abbattimento) derivanti dai processi di combustione dei rifiuti.
Per quanto concerne le emissioni, le caratteristiche eterogenee delle matrici (rifiuti) combusti sono tali che i processi di combustione generano numerose sostanze pericolose trascinate con i fumi che solo in parte possono essere "ottimizzate" (ridotte) dalla cura posta nella gestione dei principali parametri di combustione (modalità di immissione delle matrici nella caldaia, tempi di residenza a contatto con la fiamma, modalità di invio dell’aria comburente, controllo e intervento sulle temperature dei fumi nelle diverse sezioni dell’impianto, modalità del recupero del calore per la produzione di energia, esistenza e gestione del postcombustore, etc) e dall’efficacia della captazione delle sostanze tossiche contenute nei fumi dai sistemi di abbattimento prima dell’emissione all’atmosfera.
Non va taciuto che i sistemi di abbattimento operano una traslazione dei tossici dalla fase aeriforme ad una solida e/o liquida, in altri termini una maggiore efficacia nella captazione dei tossici ha come contraltare una maggiore produzione ed una maggiore tossicità dei residui solidi.
La peculiarità degli impianti di incenerimento è connessa alla eterogeneità del "combustibile"/rifiuto utilizzato (solo in parte riducibile con l’alimentazione di rifiuti selezionati e/o del cosiddetto CDR) e sono tali che, nella caldaia, si vengono a creare delle condizioni per le quali sono originate innumerevoli e incontrollabili reazioni chimiche dai risultati altrettanto innumerevoli e solo in parte prevedibili.
A conferma di quanto detto sopra si mostra una tabella in cui sono riportate le "principali" sostanze chimiche "testate" in impianti di incenerimento.


TABELLA 1 SOSTANZE ORGANICHE IDENTIFICATE NELLE EMISSIONI DI INCENERITORI DI RIFIUTI URBANI

pentane
trichlorofluoromethane
acetonitrile
acetone
iodomethane
dichloromethane
2-methyl-2-propanol
2-methylpentane
chloroform
ethyl acetate
2,2-dimethyl-3-pentanol
cyclohexane
benzene
2-methylhexane
3-methylhexane
1,3-dimethylcyclopentane
1,2-dimethylcyclopentane
trichloroethene
heptane
methylcyclohexane
ethylcyclopentane
2-hexanone
toluene
1,2-dimethylcyclohexane
2-methylpropyl acetate
3-methyleneheptane
paraldehyde
octane
tetrachloroethylene
butanoic acid ethyl ester
butyl acetate
ethylcyclohexane
2-methyloctane
dimethyldioxane
2-furanecarboxaldehyde
chlorobenzene
methyl hexanol
trimethylcyclohexane
ethyl
benzene
formic acid
xylene
acetic acid
aliphatic carbonyl
ethylmethylcyclohexane
2-heptanone
2-butoxyethanol
nonane
isopropyl benzene
propylcyclohexane
dimethyloctane
pentanecarboxylic acid
propyl benzene
benzaldehyde
5-methyl-2-furane carboxaldehyde
1-ethyl-2-methylbenzene
1,3,5-trimethylbenzene
trimethylbenzene
benzonitrile
methylpropylcyclohexane
2-chlorophenol
1,2,4-trimethylbenzene
phenol
1,3-dichlorobenzene
1,4-dichlorobenzene
decane
hexanecarboxylic acid
1-ethyl-4-methylbenzene
2-methylisopropylbenzene
benzyl alcohol
trimethylbenzene
1-methyl-3-propylbenzene
2-ethyl-1,4-dimethylbenzene
2-methylbenzaldehyde
1-methyl-2-propylbenzene
methyl decane
4-methylbenzaldehyde
1-ethyl-3,5-dimethylbenzene
1-methyl-(1-pro-penyl)benzene
bromochlorobenzene
4-methylphenol
benzoic acid methyl ester
2-chloro-6-methylphenol
ethyldimethylbenzene
undecane
heptanecarboxylic acid
1-(chloromethyl)-4-methylbenzene
1,3-diethylbenzene
1,2,3-trichlorobenzene
4-methylbenzyl
alcohol
ethylhex anoic acid
ethyl benzaldehyde
2,4-dichlorophenol
1,2,4-trichlorobenzene
naphthalene
cyclopentasiloxanedecamethyl
methyl acetophenone
ethanol-1-(2-butoxyethoxy)
4-chlorophenol
benzothiazole
benzoic acid
octanoic acid
2-bromo-4-chlorophenol
1,2,5-trichlorobenzene
dodecane
bromochlorophenol
2,4-dichloro-6-methylphenol
dichloromethylphenol
hydroxybenzonitrile
tetrachlorobenzene
methylbenzoic acid
trichlorophenol
2-(hydroxymethyl)benzoic acid
2-ethylnaphthalene-1,2,3,4-tetrahydro 2,4,6-trichlorophenol
4-ethylacetophenone
2,3,5-trichlorophenol
4-chlorobenzoic acid
2,3,4-trichlorophenol
1,2,3,5-tetrachlorobenzene
1,1'biphenyl (2-ethenyl-naphthalene)
3,4,5-trichlorophenol
chlorobenzoic acid
2-hydroxy-3,5-dichlorobenzaldehyde
2-methylbiphenyl
2-nitrostyrene(2-nitroethenylbenzene)
decanecarboxylic acid
hydroxymethoxybenzaldehyde
hydroxychloroacetophenone
ethylbenzoic acid
2,6-dichloro-4-nitrophenol
sulphonic acid
m.w.192
4-bromo-2,5-dichlorophenol
2-ethylbiphenyl
bromodichlorophenol
1(3H)-isobenzofuranone-5-methyl
dimethylphthalate
2,6-di-tertiary-butyl-p-benzoquinone
3,4,6-trichloro-1-methyl-phenol
2-tertiary-butyl-4-methoxyphenol
2,2'-dimethylbiphenyl
2,3'-dimethylbiphenyl
pentachlorobenzene
bibenzyl
2,4'-dimethylbiphenyl
1-methyl-2-phenylmethylbenzene
benzoic acid phenyl ester
2,3,4,6-tetrachlorophenol
tetrachlorobenzofurane
fluorene
phthalic ester
dodecanecarboxylic acid
3,3'-dimethylbiphenyl
3,4'-dimethylbiphenyl
hexadecane
benzophenone
tridecanoic acid
hexachlorobenzene
heptadecane
fluorenone
dibenzothiophene
pentachlorophenol
sulphonic acid m.w.224
phenanthrene
tetradecanecarboxylic acid
octadecane
phthelic ester
tetradecanoic acid isopropyl ester
caffeine
12-methyltetradecacarboxylic acid
pentadecacarboxylic acid
methylphenanthrene
nonedecane
9-hexadecene carboxylic acid
anthraquinone
dibutylphthalate
hexadecanoic acid
eicosane
methylhexadecanoic acid
fluoroanthene
pentachlorobiphenyl
heptadecanecarboxylic acid
octadecadienal
pentachlorobiphenyl
aliphatic amide
octadecanecarboxylic acid
hexadecane amide
docosane
hexachlorobiphenyl
benzylbutylphthalate
aliphatic amide
diisooctylphthalate
hexadecanoic acid hexadecyl ester
cholesterol.


Fonte: Jay K.and Stieglitz L.(1995).Identification and quantification of volatile organic components in emissions of waste incineration plants.Chemosphere 30 (7):1249-1260.
Un aspetto da considerare nella valutazione delle emissione di un impianto di incenerimento (come in altri impianti di combustione) sono i cosiddetti "transitori" cioè le fasi di avvio e/o di spegnimento o quelle in cui per diversi motivi - si verificano condizioni anomale (condizioni frequenti negli inceneritori di rifiuti). In queste condizioni le emissioni possono modificarsi in modo considerevole, a partire per fare un esempio delle situazioni "favorevoli" alla formazione di precursori cloroorganici in grado di incrementare la formazione delle sostanze a maggiore pericolosità (PCDD/PCDF, PCB, PCDB etc).
La normativa sui limiti alle emissioni è sostanzialmente fondata su valori medi su dati periodi temporali (giornalieri, orari, annuali) tali da "nascondere" il verificarsi di situazioni che comportano elevate emissioni per periodi di tempo "limitati" (la stessa normativa permette il superamento dei limiti medi indicando la massima escursione permessa e il tempo massimo in cui può verificarsi senza comportare l’attivazione di limitazioni o la fermata - al funzionamento dell’impianto.
Questo aspetto è importante, ai fini dell’impatto ambientale e sanitario, in quanto l’esposizione reale delle popolazioni a rischio può variare nel tempo ovvero le persone possono essere esposte a "picchi" di esposizione che hanno, a seconda della sostanza, significatività sugli effetti sulla salute pubblica.
Nella tabella che segue si riportano alcuni dati in proposito alle condizioni "transitorie" che si possono verificare e alle conseguenze, in termini di emissioni, delle stesse.

Tabella 2. Condizioni di funzionamento normali e sfavorevoli nella camera di combustione di un inceneritore per rifiuti

Condizioni operative
Ossido di carbonio
mg/mc
Anidride carbonica
% volume
Temperatura

° C
PCDD/PCDF

nanogr/mc
Clorobenzeni

microgr/mc
Clorofenoli

microgr/mc
Normali
230
8,53
978
42
0,2
1,2
Transitorie
340-1.000
6,80
790-870
1.860
17,0
114,0

Fonte:
G. Boeri, E. Barni "Impatto ambientale degli impianti" in L'incenerimento dei rifiuti, Atti del Convegno Nazionale, Bologna 16-17/3/1995, Maggioli Editore, 1996, p. 137.
Un altro aspetto fondamentale per valutare l’impatto sanitario delle emissioni è costituito dalla grandezza del particolato. E’ immediatamente comprensibile che minori sono le dimensioni delle polveri più esse hanno probabilità di sfuggire ai sistemi di abbattimento e di essere emesse all’atmosfera, costituendo una particolare e grave fonte di esposizione per l’uomo in quanto, una volta inspirati si installano nelle zone più profonde dei bronchi, a diretto contatto con i sistemi di scambio dell’ossigeno col sangue (in particolare hanno tale proprietà le polveri di dimensioni inferiori a 2,5 micron, le PM2,5; in Lombardia costituiscono circa il 46 % del totale).
Pertanto i metalli o le altre sostanze trascinate (adsorbite) dalle polveri possono venir cedute nel tempo al sangue (non è un caso che la normativa sull’inquinamento atmosferico e la qualità dell’aria da alcuni anni ha introdotto il parametro delle "PM10" ovvero le polveri di dimensioni inferiori ai 10 micron di diametro, e che il superamento dei limiti di questo parametro è quello che più frequentemente ha fatto "scattare" gli obblighi previsti per la limitazione della circolazione delle auto e/o del funzionamento degli impianti di combustione nelle "aree omogenee" dei maggiori agglomerati urbani).
Sono stati stimati degli indici di effetto sanitario in funzione della grandezza delle particelle aerodisperse e alla grandezze delle stesse. Ovviamente tali effetti sono relativi a tutte le fonti emissive, comprensive quindi dell’effetto cumulativo che una sorgente puntuale (inceneritore o altro impianto industriale) può produrre unitamente a fonti "mobili" come il traffico stradale o la ricaduta delle emissioni provocate da aeromobili.
Figura 1. Incremento della mortalità relativo alle concentrazioni di PM10 nell’aria
La relazione rappresentata nella figura 1 tra concentrazione di PM10 nell’aria e mortalità è stata proposta dall’OMS, precauzionalmente l’incremento viene escluso per valori giornalieri inferiori a 20 microg/mc (a Milano i giorni con media al di sotto di quest’ultimo valore, nel 1999, sono stati solo 30).
In sintesi, viene ipotizzato per ogni incremento unitario (in microgr/mc) giornaliero di PM10 un aumento della mortalità dello stesso giorno pari allo 0,07 %. Questa relazione, applicata ai livelli giornalieri di concentrazione di PM10 verificatisi a Milano nel 1999 e alla mortalità nello stesso anno di residenti a Milano, comporterebbe che nei giorni con livelli superiori a 100 microgr/mc (24 giorni nel 1999) si è avuto un eccesso di mortalità dovuto alle PM10 di più di un decesso al giorno rispetto ai giorni che hanno presentato un valore di PM10 pari alla media annuale di Milano sempre del 1999 ovvero 47 microg/mc la soglia di attenzione per le PM10 è attualmente fissata dalla normativa italiana nella media delle concentrazioni pari a 40 microg/mc, mentre la soglia di allarme è posta a 60 microg/mc). (V. "Salute e ambiente in Lombardia", Regione Lombardia, settembre 2000).
Analoghe correlazioni sono indicate dall’OMS per quanto concerne l’incremento dei ricoveri ospedalieri (+ 0,84 % per ogni incremento di 10 microg/mc di PM10) e di variazioni sullo stato di salute generale della popolazione (affezioni di vario genere alle vie respiratorie). Negli USA l’esposizione di lungo termine a livelli di PM10 superiori a 50 microg/mc è stata associata ad un aumento del rischio di contrarre tumori ai polmoni paragonabile a quello associato al fumo di sigaretta (aumento di 5 volte nei maschi e di 1,2 volte nelle femmine).
Questi rischi sono ancora più elevati per i bambini.
Un altro fatto che emerge dai diversi studi (non solo per le PM10) è che non è possibile definire una soglia di concentrazione delle PM10 al di sotto della quale vi sia un effetto nullo sulla salute.
Va segnalato che le polveri di dimensioni più fini sono anche quelle in cui vi è una maggiore concentrazione di tossici, come metalli, in funzione delle caratteristiche chimiche degli stessi, idrocarburi policiclici aromatici, a tale proposito si vedano le tabelle che segue (vi sono anche inquinanti "emergenti", come il platino per le emissioni dalle auto catalizzate) .

Tabella 3a. Distribuzione dei metalli pesanti in funzione della granulometria del particolato volatile in sospensione nei fumi (valori in microgr/Nmc)

Granulometria
Cadmio
Zinco
Piombo
Antimonio
Cromo
Arsenico
> 10,50 micron
0,41- 4,0
31,2-372,0
25,5-136,0
0,31-0,36
9,6
1,00
< 0,56 micron

6,13-23,0
321,0-967,0
315,0-392,0
2,26-4,50
1,7
0,18

Tabella 3b. Distribuzione percentuale dei metalli pesanti in funzione della granulometria del particolato totale sospeso - PTS (valori in microgr/Nmc)

Granulometria
Cadmio
Zinco
Piombo
Antimonio
> 10,50 micron
3,8-8,4 %
4,9 - 16 %
4,1 - 13,5 %
3,3 - 6,1 %
< 0,56 micron

47,0-56,8 %
42,1-51,30 %
38,9 - 51,1 %
38,2-47,8 %
Fonti delle ultime due tabelle : A.Donati, M. Gallorini, L.Morselli "I metalli pesanti nel ciclo dell'incenerimento dei RSU" in L'incenerimento dei rifiuti, Atti del Convegno Nazionale, Bologna 16-17/3/1995, Maggioli Editore, 1996, p. 312.
L’emissione complessiva mondiale stimata di metalli pesanti dagli impianti di incenerimento dei rifiuti viene mostrata nella tabella che segue unitamente al peso percentuale di tali emissioni sul totale delle emissioni dei metalli dalle diverse fonti.
L’apporto degli impianti di incenerimento alle emissioni complessive di sostanze come Piombo, Cadmio, Cromo, Arsenico per citare sostanze con note proprietà cancerogene sono certamente significative e costituiscono tra le diverse motivazioni un importante motivo di contrarietà, sotto il profilo ambientale, alla realizzazione di nuovi impianti di incenerimento.
Non va taciuto che, in relazione alle proprietà fisico-chimiche dei singoli metalli, negli impianti di combustione che non sono in grado di "distruggere" nessuna delle sostanze che vengono immesse con le matrici ma solo di trasformarle in altre sostanze, nella maggior parte dei casi di maggiore tossicità rispetto a quelle alimentate avviene una "ripartizione" degli stessi tra le emissioni ed i residui solidi.
E’ altresì da ricordare che il sistema più sicuro per ridurre o, meglio, eliminare tali emissioni è costituito dal non bruciare rifiuti che li contengono ovvero di non produrre merci che una volta divenute rifiuti finiscono direttamente o indirettamente nelle diverse matrici ambientali. Tenuto conto che la maggior parte dei metalli sono contenuti nei rifiuti urbani sotto forma di cariche e/o coloranti per materie plastiche (PVC rigido ma non solo), si ricorda che l’Unione Europea recentemente ha deciso di rinviare l’attuazione della "direttiva imballaggi" di diversi anni per la parte concernente la riduzione dei contenuti di metalli negli imballaggi.
Tabella 4. Emissioni annuali, nel mondo, di metalli da impianti di incenerimento e contributo percentuale sul totale delle emissioni
Metallo
Emissioni da inceneritori (t/anno)
Percentuale del contributo degli inceneritori sul totale delle emissioni
Antimonio
670
19.0
Arsenico
310
3.0
Cadmio
750
9.0
Cromo
840
2.0
Rame
1.580
4.0
Piombo
2.370
20.7
Manganese
8.260
21.0
Mercurio
1.160
32.0
Nickel
350
0.6
Selenio
110
11.0
Stagno
810
15.0
Vanadio
1.150
1.0
Zinco
5.900
4.0


Per quanto concerne i microinquinanti organici ed in particolare quelli di maggiore tossicità, i cloroorganici tra cui PCDD,PCDF e PCB si rammentano brevemente i meccanismi di formazione nei processi di combustione.
Circa la formazione delle PCDD e dei PCDF nei processi di combustione, sono state fatte le seguenti ipotesi:
a) - tali composti sono presenti in tracce nei rifiuti e non completamente "distrutti";
b) - le due classi di composti si formano da precursori organici clorurati come, per esempio, i policlorobenzeni, i policlorofenoli, i PVC, durante la combustione;
c) - la presenza di PCDD e PCDF è dovuta ad una serie di reazioni termiche fra precursori non clorurati e composti inorganici clorurati;
d) - a causa della natura eterogenea dei rifiuti, sopravvivono alla combustione specie cloroorganiche che possono originare PCDD e PCDF;
e) - sono possibili reazioni in fase non gassosa o reazioni bifase (gassosa/non gassosa) che contribuiscono alla formazione delle PCDD e dei PCDF.
In letteratura sono riportati molteplici lavori relativi alla formazione delle diossine e dei furani. Per esempio, è stato ripetutamente dimostrato con esperimenti di laboratorio che le PCDD si formano bruciando i clorofenoli a diverse temperature e a diverse condizioni operative .
Da un punto di vista generale, va poi sottolineato che lo studio dei meccanismi di formazione delle PCDD e dei PCDF oltre ad un interesse teorico ha anche ricadute pratiche. Infatti, la conoscenza di tali meccanismi consente, da una parte di individuare le molteplici fonti che originano tali pericolosissimi tossici per la donna, l'uomo, gli altri organismi viventi e l'ambiente nella sua globalità, dall'altra di attivare rigorosi ed efficaci interventi preventivi tesi ad azzerare la produzione di tali contaminanti.
Fra i meccanismi di formazione delle PCDD e dei PCDF negli impianti di incenerimento o di termodistruzione che dir si voglia, è pacificamente accettato dai ricercatori quello costituito da precursori quali i clorofenoli e i clorobenzeni, che si formano per via radicalica ad alta temperatura nella camera di combustione e, con successive reazioni di condensazione, che possono avvenire in fase omogenea e danno luogo, appunto, alla formazione delle PCDD e dei PCDF.
In questa sede, senza entrare nel chimismo di tali reazioni, ci limitiamo a ricordare che le reazioni di condensazione possono decorrere anche sfruttando la presenza di particelle solide disperse nel gas (fly-ash), sulla cui superficie i clorofenoli e i clorobenzeni vengono adsorbiti nelle zone di post-combustione a più bassa temperatura.
Un secondo meccanismo pacificamente accettato dai ricercatori è rappresentato dalla cosiddetta "de-novo sintesi" in cui sono coinvolte le fly-ash. Le particelle carboniose reagiscono con ossigeno e cloro formando una grande varietà di composti clorurati tra i quali le PCDD e i PCDF, grazie anche al ruolo catalitico svolto da alcuni ioni metallici presenti su di esse, in particolare il rame (la cui concentrazione "permessa" nel caso del CDR è elevata). I due meccanismi anzidetti, possono avvenire contemporaneamente; allo stato, la letteratura non chiarisce l'importanza dei processi in fase omogenea rispetto a quelli in fase eterogenea.
In proposito va ancora segnalato che la formazione delle PCDD e dei PCDF non avviene solo nelle zone "fredde" dell'impianto (zone di temperatura comprese tra 200 400 °C), dopo la camera di combustione, come per esempio, negli elettrofiltri, ma anche in intervalli di temperatura di 500 ¸ 650 °C come evidenziato da recenti ricerche.
In questo caso sono messi sotto accusa gli scambiatori di calore per il raffreddamento dei fumi con i relativi recuperi energetici.
Ritornando ai clorofenoli, come abbiamo già detto, nota classe di precursori delle PCDD e dei PCDF, va pure evidenziato che essi possono formarsi dai clorobenzeni attraverso trasformazioni chimiche.
Alcuni ricercatori hanno effettuato esperimenti allo scopo di mettere in evidenza il diverso ruolo dei clorobenzeni e dei clorofenoli nella formazione delle PCDD e dei PCDF.
Le ricerche hanno evidenziato - seguendo la combustione del 1,2-diclorobenzene e del 2,4-diclorofenolo - che il clorofenolo origina un tasso di PCDD/PCDF di due ordini di grandezza maggiore, a dimostrazione della più spiccata attività dei clorofenoli nelle reazioni di formazione di PCDD/PCDF.
Per quanto concerne la stima delle emissione complessive di PCDD e PCDF nel mondo, sono diverse le ricerche che hanno tentato di elaborare dati affidabili anche per confrontarli con stime relative alle emissioni di tali sostanze da altri processi di combustione o produttivi. Nella tabella che segue è riportata una stima mondiale al 1995 (parziale, in quanto tra i paesi considerati sono assenti la Cina e l’ex URSS, oltre all’Italia).
Tabella 5. Emissioni in atmosfera di diossine nei paesi industrializzati

Processo fonte di diossine

g/anno
Valore %
Inceneritori di rifiuti
7.241
69 %
Produzione di non metalli

804
8 %
Acciaierie e laminatoi
1.083
10 %
Centrali termoelettriche
57
1 %
Impianti di combustione industriali
204
2 %
Piccoli impianti di combustione
354
3 %
Trasporto stradale
67
1 %
Produzione di minerali
234
2 %
Altri
470
4 %
Totale
10.514

Fonte: United Nations Environment Programme, Dioxin and Furan Inventories. National and Regional Emissions of PCDD/PCDF, UNEP Chemicals, Ginevra, maggio 1999.
Le nazioni considerate sono state : Austria, Australia, Belgio, Svizzera, Canada, Germania, Danimarca, Francia, Ungheria, Giappone, Olanda, Svezia, Gran Bretagna, Slovacchia, USA.
La situazione americana è sinteticamente riportata nella tabella seguente.

Tabella 6 : Sintesi dell’inventario delle fonti di PCDD e PCDF negli USA [PCCDD/F TEQ (g/year)]

Fonte
1987
EPA (1994)
1995
Incenerimento rifiuti urbani
12.970
3.000
1.794
Cementifici (rif.per.)
Cementifici (rif non per)
330
350
850
6
Incenerimento rifiuti ospedalieri
8.630
5.100
724
Raffinazione del rame
300
230
310
Incendi forestali
160
86
160
Processi di sinterizzazione di metalli
102
---
88
Incenerimento di rifiuti pericolosi
180
35
75
Combustione di carbone in centrali
60
---
73
Combustione di legna
68
320
70
Combustione di residui di legna
100
40
68
Raffinazione dell’Alluminio
28
---
57
Combustione di carbone residenziale
40
---
33
Totale USA
24.000
11.500
5.000
Per quanto concerne l’Italia l’ENEA ha presentato un inventario nazionale (con esclusione, nel calcolo delle TEF dei PCB) con una valutazione anche della "tendenza" futura e che si ripropone nella tabella che segue.
I dati pubblicizzati dall’ENEA sono stati integrati da chi scrive con quelli risultanti da un recente studio dell’Unione Europea, questi ultimi dati sono riportati nelle colonne ombrate indicate come 1994, minimo e massimo.
La presentazione di tali tabelle viene fatta per evidenziare l’incertezza delle diverse stime, sia per la situazione mondiale che quella italiana possono essere apprezzate i differenti e significativi valori delle diverse stime.
Tabella 7. Stima delle emissioni di PCDD e PCDF (grammi ITEF/anno), valutazioni dell’ENEA (al 1998) e dati riportati in uno studio dell’Unione Europea pubblicato nel 1999 e riferiti al 1994

Fonti
1990
1995
1994 minimo
1994 massimo
2000
2005
2010
CENTRALI ELETTRICHE PUBBLICHE
23,4
26,6


17,3
15,4
14,5
carbone
1,1
0,8
0,22
11
1,0
1,1
1,1
lignite
0,1
0,0


0,0
0,0
0,0
olio combustibile
21,8
25,4


16,0
14,2
13,2
gasolio
0,3
0,2


0,1
0,0
0,0
legna
0,1
0,2


0,2
0,2
0,2
petcoke
0,0
0,0


0,0
0,0
0,0
IMPIANTI DI COMBUSTIONE NEL TERZIARIO E AGRICOLTURA
23,6
26,4


23,9
19,7
18,5
carbone
0,6
0,8


0,8
0,8
0,8
olio combustibile
0,4
0,1


0,4
0,4
0,4
legna
12,6
17,7
0,002
0,02
15,0
11,0
10,0
gpl
1,6
1,7


1,7
1,7
1,7
gasolio
7,4
5,0


5,0
4,8
4,6
kerosene
0,2
0,1


0,1
0,1
0,1
coke
0,9
0,9


0,9
0,9
0,9
IMPIANTI DI COMBUSTIONE RESIDENZIALI







legna


4,0
280



COMBUSTIONE NELL'INDUSTRIA
92,0
81,7


71,0
66,0
61,4
impianti di combustione
13,6
10,8


10,5
10,4
10,3
carbone
1,5
0,7
0,004
1,3
0,8
0,8
0,8
lignite
0,0
0,0


0,0
0,0
0,0
olio combustibile
6,3
5,1


5,1
5,1
5,1
legna
0,3
0,6
4,1
47
0,2
0,1
0,0
coke
0,4
0,2


0,2
0,2
0,1
gpl
0,3
0,3


0,3
0,3
0,3
nafta
1,3
1,0


1,0
1,0
1,0
kerosene
0,0
0,0


0,0
0,0
0,0
gasolio
0,4
0,3


0,3
0,3
0,3
petcoke
3,1
2,5


2,6
2,6
2,6
cemento
6,1
5,1


5,3
5,3
5,3
impianti di sinterizzazione acciaio
67,9
60,5
0,02
12,0
50,0
45,0
40,5
piombo secondario
2,0
2,5
46
316
2,5
2,5
2,5
rame secondario
1,7
2,0
0,7
170
2,0
2,0
2,0
Zinco secondario


0,3
9,9



alluminio secondario
0,7
0,8
14
110
0,8
0,8
0,8
PROCESSI PRODUTTIVI
29,5
28,6


28,6
28,6
28,6
forni elettrici
29,5
28,6
7,5
163
28,6
28,6
28,6
Produzione di pesticidi


28 (*)
6.450 (*)



Produzione di CVM/PVC


n.r
n.r.



ESTRAZIONE E DISTRIBUZIONE COMBUSTIBILI FOSSILI







USO DI SOLVENTI







TRASPORTI STRADALI
6,4
5,1


2,8
0,4
0,0
benzina con piombo
6,4
5,1


2,8
0,4
0,0
ALTRE SORGENTI MOBILI







TRATTAMENTO E SMALTIMENTO RIFIUTI
276,0
390,5


195,2
61,3
20,5
incenerimento rifiuti solidi urbani
134,3
170,6
563
2.780
85,3
34,1
12,8
incenerimento rifiuti solidi industriali
97,4
97,4
n.r.
n.r.
48,7
15,2
4,6
incenerimento rifiuti ospedalieri
27,5
27,5
8,8
24
13,7
4,3
1,3
fanghi di depurazione di impianti civili
16,8
95,0

0,9
47,5
7,6
1,8
incenerimento rifiuti agricoli
0,0
0,0


0,0
0,0
0,0
Smaltimento di rifiuti in discarica


140 (*)
1.664 (*)



Spandimento di fanghi


2,7 (*)
43(*)



Altri trattamenti di rifiuti


0,66
1,56



Uso di pesticidi


15 (*)
760 (*)



Incendi accidentali di boschi


0,5(*)
2.380 (*)



Incendi forestali dovuti a incidenti


0,07 (*)
41(*)



TOTALE
450,8
558,8
840
15.300
338,8
191,4
143,4

Fonte dei dati dell’Unione Europea : Releases of Dioxins and Furans to Land and Water in Europe, Final Report, settembre 1999, p. 132.
(*) = stima del rilascio sul terreno dovuta alle attività evidenziate.
Oltre alle caratteristiche delle emissioni., come accennato, l’altro importante impatto è costituito dai residui solidi dei processi di combustione. Si tratta di residui contrariamente al parere e alle pressioni dei fautori dell’incenerimento - a diverso grado di tossicità (le ceneri leggeri ed i residui dei sistemi di abbattimento sono classificati come tossico-nocivi), in ogni caso non "inerti" e che necessitano di apposite discariche per il loro smaltimento.
In altri termini, pur sinteticamente, rammento che non esiste non può funzionare - un inceneritore senza una o più discariche di supporto per lo smaltimento delle scorie. Discariche che hanno un proprio impatto direttamente connesso con l’impianto di incenerimento anche se poste in un territorio diverso da quest’ultimo.
Sulla tossicità delle scorie pesanti e sui residui dai sistemi di abbattimento si riportano le tabelle che seguono, limitatamente al contenuto di metalli (ovviamente in questi rifiuti vi sono anche tracce dei microinquinanti organici e cloroorganici sopra citati).

Tabella. 8 Metalli presenti nelle scorie pesanti. (I valori sono riferiti alle analisi effettuate presso gli impianti ACCAM di Busto Arsizio (VA) e ai dati di letteratura)


Elemento

Inceneritore ACCAM:
scorie pesanti
concentrazioni minime-massime rilevate da più analisi
Concentrazioni medie da più analisi riportate in letteratura (*)
Limiti di concentrazione (CL), Delibera del Comitato Interministeriale del 27.07.1984

mg/kg
mg/kg
mg/kg
Ferro
14.953 - 5.600
94.000
n.r.
Zinco
5.000 - 1.295,3
12.000
n.r.
Piombo
4.100 - 1.056,7
6.000
5.000
Nichel
100 - 19,8
180
n.r.
Cromo
n.r
3.300
100 (Cr VI)
Manganese
550 - 228,2
n.r.
n.r.
Rame
896,4 - 600
1.700
5.000
Cadmio
inf. 5,0 - 1,04
20
100
Arsenico
inf. 50,0 - 0,5
300
100
Alluminio
23.000 - 21.008
32.000
n.r.
Bario
319 - 50
n.r.
n.r.
Berillio
inf. 50,0 - 1
n.r.
n.r.
Mercurio

inf. 10,0 - 0,3
1
100
Fonti:
Certificati di analisi delle scorie 1987-1991 dell’inceneritore ACCAM, Busto Arsizio (VA).
(*) Media da 500 pubblicazioni relative ai residui di inceneritori di RSU, S.Cernuschi, M.Giugliano, G. Lonati, M. Ragazzi "Flussi di materiali e di energia per il bilancio ambientale", in Incenerimento di RSU e recupero energetico, CIPA, 1995.
n.r. = non riportato.


Tabella 9. Composizione delle scorie pesanti e dell’eluato da test di cessione ai fini della classificazione per lo smaltimento (DPR 915/82 e Delibera del Comitato Interministeriale del 27.07.1984)


Elemento
Scorie pesanti da
inceneritore
mg/kg
Eluato da scorie pesanti
mg/litro
Limiti tabella A legge Merli
mg/litro
Ferro
18.000-28.000
1,0
2,0
Zinco
4.400-5.000
55,0
0,5
Piombo
3.100-3.300
4,2
0,2
Nichel
4.600-6.100
4,4
2,0
Cromo totale
1.200-2.000
< 0,05
2 (Cr III) 0,2 (Cr VI)
Manganese
700-800
6,0
2,0
Rame
1.700-9.100
1,8
0,1
Cadmio

30-40
0,9
0,02







Fonte: Liuzzo G. "Scorie e ceneri nella combustione dei RSU: caratterizzazione ai fini della loro classificazione, smaltimento ed eventuale riutilizzazione", Roma 1989; riportato in A.Paolini, P.Sirini "Scorie e ceneri da impianti di combustione RSU: aspetti tecnici, legislativi e prospettive di ricerca", Ingegneria Sanitaria e Ambientale n. 6, novembre/dicembre 1993.
Per quanto concerne le ceneri leggere si riporta, nella tabella che segue, alcune caratteristiche in termini di contenuto di sostanze tossiche (metalli) sia in ceneri tal quali che in ceneri inertizzate in matrice cementizia.

Tabella 10. Contaminanti presenti nell'eluato di ceneri volanti derivanti dall’incenerimento dei rifiuti solidi urbani, del "bioessiccato" e dell’RDF, nonché da ceneri stabilizzate in matrice cementizia (test di cessione con acido acetico e anidride carbonica)
Contaminante
Eluato su ceneri tal quali (test con acido acetico), valori
minimi e massimi (*)
Eluato su ceneri tal quali (test CO2) , valori
minimi e massimi (*)
Eluato (test con acido acetico) su ceneri inertizzate ottenute dalla combustione del "bioessiccato" ,
valori minimi e massimi (**)
Eluato (test con acido acetico) su ceneri inertizzate ottenute dalla combustione dell’RDF,
valori minimi e massimi (**)
Limiti tabella A legge Merli
Cadmio mg/l
0,09-0,14
0,14-0,16
n.d.
0,02
0,02
Cromo totale mg/l
0,05
0,05
n.d.
n.d.
2,00 (Cromo III)
Cromo VI mg/l
0,1
0,1
0,02 - 3,79
1,66 - 3,0
0,20
Rame mg/l
0,05-0,06
0,06-0,08
n.d.
n.d.
0,10
Mercurio mg/l
0,005
0,005
n.d.
n.d.
0,005
Manganese mg/l
n.d.
0,05
n.d.
n.d.
2,00
Nichel mg/l
0,1
0,1
n.d.
n.d.
2,00
Piombo mg/l
0,2-0,4
0,1-0,2
0,1
0,1
0,20
Zinco mg/l
0,39-0,72
1,12-1,32
n.d.
n.d.
0,50
Arsenico mg/l
0,002
0,002
n.d.
n.d.
0,50
Ferro mg/l
0,1
0,1
n.d.
n.d.
2,00
Selenio mg/l
0,005
0,005
n.d.
n.d.
0,03
Stagno mg/l

5
5
n.d.
n.d.
10,00
(*) P. Berbenni et altri, in AAVV " Incenerimento di RSU e recupero di energia", CIPA editore, 1995.
(**) Gruppo Ecodeco, Sintesi delle sperimentazioni effettuate - Prove di combustione c/o l'impianto di termodistruzione di Livorno, aprile-giugno 1998, tabella 6, pag. 22.
n.d. = non determinato.
Continua (pagina 2)

2. Evoluzione normativa e tecnologia dei processi di incenerimento dei rifiuti
Per quanto concerne l’evoluzione normativa mi limito a cenni relativi ai limiti delle emissioni degli impianti di incenerimento sulla base delle direttive europee che si sono succedute negli ultimi 12 anni ( da ultimo la DIRETTIVA 2000/76/CE DEL PARLAMENTO EUROPEO E DEL CONSIGLIO del 4 dicembre 2000 sull'incenerimento dei rifiuti) e ai relativi recepimenti nella normativa nazionale. Nella tabella 11 che segue si riassume tale evoluzione verso limiti più restrittivi.

Nelle tabelle successive (12 e 13) si torna ancora più indietro nel tempo, dagli inceneritori degli anni ’60 a quelli della normativa nazionale (tedesca) contenente dei limiti sostanzialmente identici a quelli poi definiti dalla normativa europea.

Inoltre, nella tabella 14 più avanti, si riportano le stime relative ai fattori di emissione (quantità della emissione di una sostanza per tonnellata di rifiuto incenerito, tenendo conto della quantità di fumi emessi sempre per tonn di rifiuto incenerito), ovvero quello che viene ritenuto il trend futuro di tali emissioni andando oltre al rispetto dei limiti normativi, con verso l’applicazione della migliore tecnologia disponibile (senza "eccessivi costi").
Tabella 11. Evoluzione normativa dei limiti alle emissioni degli impianti di incenerimento rifiuti
Contaminante
Limiti DPR 203/88 (Linee Guida DM 12.07.1990)
Limiti CRIAL 1992
Limiti DM 19.11.97
(nuovi inceneritori)
giornaliero
Limiti DM 19.11.97
(nuovi inceneritori)
orario
Direttiva UE 2000/76 del 4.12.2000
giornaliero
Direttiva UE 2000/76 del 4.12.2000
su mezz’ora
Polveri mg/mc
30
25
10
30
10
30
Cadmio mg/mc
0,2
0,1
0,05 (un'ora)

0,05 (mezz’ora)
0,1 (8 ore)
Mercurio mg/mc
0,2
0,1
0,05 (un'ora)

0,05 (mezz’ora)
0,1 (8 ore)
Piombo mg/mc
5
3




Metalli totali mg/mc
5
5
0,5 (un'ora) (*)

0,5 (mezz’ora) (*)
0,1 (mezz’ora) (*)
Fluoro (HF) mg/mc
2
n.p.
1
4
1
4
HF + HBr mg/mc
v.sopra
3




Cloro (HCl) mg/mc
50
30
20
40
10
60
Cianuri mg/mc
1
0,5




Fosforo mg/mc
n.p.
5




SO2 mg/mc
300
300
100
200
50
200
NOx mg/mc
500
n.p.
200
400
200
400
PCDD+PCDF g/mc
4
10
0,0001 (otto ore **)


0,0001 (otto ore **)
TCDD+TCDF nanog/mc
n.p.
50




PCB+PCT+PCTg/mc
500
100




IPA mg/mc
0,05
0,05
0,01 (otto ore)



Ossido di carbonio mg/mc
100
n.p.
50
100
50
100
COT mg/mc
20
10
10
20
10
20
(*) Somma di Piombo, Antimonio, Arsenico, Cromo, Cobalto, Rame, Manganese, Nichel, Vanadio, Stagno.
(**) Espresso in TCDD equivalenti

Fonte: Otto Hutzinger, Heidelore Fiedler, "20 anni di incenerimento di rifiuti : problemi e soluzioni" in L’incenerimento dei rifiuti ", Atti del Convegno nazionale, Bologna 16-17 marzo 1995, Maggioli Editore, 1996, pp. 17-32.


Tabella 14. Stima dei fattori di emissione da impianti di incenerimento

Contaminante
Fattori di emissione (grammi per tonnellata di rifiuto)

Emissioni risultanti dalla applicazione dei limiti esistenti per nuovi impianti
Emissioni raggiungibili con l’applicazione della B.A.T.
Polveri
60
30
Acido cloridrico
120
60
Ossidi di azoto
1.200
420
Ossidi di zolfo
600
300
Monossido di carbonio
300
200
Carbonio organico totale
60
40
Metalli
3
1,5
Mercurio
0,30
0,30
Idrocarburi policiclici aromati
0,060
0,030
Tcddeq
600 nanog
600 nanog
Fonte : Conferenza Nazionale Energia e Ambiente, Roma, 25-28 novembre 1998; "Compatibilità ambientale, controlli e caratterizzazioni nella valorizzazione energetica dei rifiuti urbani" .
Nel proporre i dati della tabella 14, gli estensori, hanno ritenuto "dimostrato" pur evidenziando che "un esame esaustivo e di validità generale rispetto alle correlazioni tra emissioni ed immissioni, e quindi alle ricadute ed ai potenziali carichi nell’area di interesse, risulta estremamente arduo e forse anche poco pertinente a causa delle specificità, tra cui quelle metereologiche, dei singoli siti". In ogni caso gli estensori si avventurano, nonostante tali premesse a definire "indicativamente" che
· i fattori di riduzione delle concentrazioni in aria del suolo alla distanza di maggiore ricaduta (500-1.000 metri) comportano "una generale compatibilità con i limiti e gli obiettivi fissati rispetto alla qualità dell’aria" ;
per macroinquinanti (ossidi di azoto, di carbonio, di zolfo) e microinquinanti organici (IPA) "una gestione appropriata dei processi di valorizzazione energetica dei rifiuti non implica necessariamente problematiche aggiuntive rispetto all’utilizzo di combustibili convenzionali" ed in alcuni casi vi sono dei vantaggi rispetto all’utilizzo del carbone;
"rispetto ai microinquinanti di maggiore tossicità (quali diossine e metalli pesanti), occorre anche valutare il peso del contributo originato da tali processi rispetto a quelli derivanti da varie e diversificate fonti, che vanno dai settori di combustione convenzionale al traffico veicolare, alle industrie, ai gas da discarica, alle cause naturali. I dati disponibili per tali specifici inventari risultano ancora largamente incompleti rispetto ad un esame esaustivo di tutte le potenziali fonti causali, tuttavia i livelli di standard fissati e l’avanzamento tecnologico raggiunto portano a valutare che i contributi derivanti dalla valorizzazione energetica dei rifiuti sono destinati a ridursi".
Gli autori, pur con tutte le premesse sopra ricordate, concludono a favore dell’utilizzo energetico dei rifiuti.
Senza voler presentare una valutazione complessiva di quanto sopra riportato, si rimanda :
· per quanto concerne le incertezze evidenziati dagli stessi autori circa le "problematiche locali" da tenere presenti (ovvero l’esigenza di una idonea e rigorosa valutazione di impatto ambientale relativa anche alla problematica delle emissioni),
per quanto concerne i microinquinanti di maggiore tossicità (PCDD, PCDF, ma non solo) e il rapporto tra emissioni da inceneritori e altre fonti si vedano i dati riportati relative alle diverse stime complessive di emissione di tali tossici;
per chi scrive l'obiettivo primario è l’eliminazione, o almeno la drastica riduzione, delle emissioni e dell'esposizione umana a diossine e ad altri tossici, dentro e fuori gli insediamenti industriali. Per esempio, da tempo mettiamo in discussione anche le produzioni che fanno ingente uso di cloro (produzione di CVM/PVC, produzione di carta con l’uso sbiancanti clorurati, solventi clorurati) che, fra l’altro, provocano le inevitabili emissioni di diossine, furani, microinquinanti organici e altri tossici a livello dei singoli processi produttivi e nelle operazioni di smaltimento di rifiuti e materiali contenenti cloro. Fermo quanto sopra, a titolo esemplificativo, riporto una valutazione inerente il confronto pur improprio tra emissioni di un moderno impianto di incenerimento e le emissioni equivalenti del parco automobilistico.

Tabella 15. Confronto tra emissioni annue di un inceneritore per CDR e "automobili equivalenti annue" (per i parametri confrontabili)
Contaminante
Stima emissione annua inceneritore da 400 t/g (8.000 ore di funzionamento)
kg/anno
Fattori di emissione di una automobile con le caratteristiche indicate
per km percorso in ciclo urbano
g/km
Numero equivalente di automobili "annue" ovvero numero di auto circolanti con percorrenza uguale a 10.000 km/anno in ciclo urbano
Ossido di carbonio
53.333
14,8200
359,9
Polveri
10.667
0,0511 (*)
20.874,8
Acido cloridrico
21.334
Non pertinente
//
Acido fluoridrico
1.067
Non pertinente
//
Anidride Solforosa
106.666
Non disponibile
//
Ossidi di azoto
213.333
0,5540
38.507,9
Sostanze organiche volatili (COT)
10.667
2,3659 (**)
450,9
Metalli pesanti
533
Non confrontabile (***)
//
Cadmio+Tallio
53
Non pertinente
//
Mercurio
53
Non pertinente
//
Idrocarburi policiclici aromatici
11
Non confrontabile
//
TCDD equivalenti (I-TEQ)
107 mg (****)
1,5 pg/km
71.333.333
Note alla Tabella
Non pertinente = parametro caratteristico dell’incenerimento di rifiuti ma non presente nelle emissioni di gas di scarico.
Non confrontabile = parametri con diverso significato tra emissioni dell’inceneritore e delle automobili.
(*) Tale valore è riferito alle PM10 emesse da auto diesel immatricolate dopo il 1997 (ecodiesel 94/12/EEC).
(**)Il dato per le auto è riferito a Carbonio Organico Volatile Non Metanico (COVNM) per cui è solo parzialmente confrontabile con il Carbonio Organico Totale, parametro di emissione per gli inceneritori.
(***) Nel caso delle auto catalizzate le emissioni di metalli sono connesse ai metalli utilizzati nei catalizzatori (in particolare palladio) per i quali non vi sono ancora degli affidabili fattori di emissione, in ogni caso è arduo confrontare la tossicità di questo metallo con quella dei numerosi metalli emessi da un inceneritore.
(****) ovvero 107.000.000.000 picogrammi/anno. Il fattore EPA utilizzato è quello più elevato riferito alle auto catalizzate. Vi sono stime precedenti (riferite ad auto non catalizzate) in cui il fattore di emissione di PCDD+PCDF espresse come I-TEQ arriva fino a 20 picog/km percorso, quindi con di due ordini di grandezza superiori a quello utilizzato nella presente tabella.
In estrema sintesi il "dente batte" particolarmente sui microinquinanti di maggiore tossicità quale emissione caratteristica ed elevata nonostante l’abbassamento dei limiti normativi degli impianti di incenerimento.
Questa osservazione risulta per esempio - in due passaggi tra i "considerando"della recente direttiva sull’incenerimento dei rifiuti :
"Pertanto,ai fini di un elevato livello di protezione ambientale e della salute umana,è necessario predisporre e mantenere condizioni di funzionamento,requisiti tecnici e valori limite di emissione rigorosi per gli impianti di incenerimento e i coincenerimento dei rifiuti nella Comunità. I valori limite stabiliti dovrebbero prevenire o a limitare per quanto praticabile gli effetti dannosi per l'ambiente e i relativi rischi per la salute umana..."
e, più avanti
" Il rispetto dei valori limite di emissione previsti dalla presente direttiva dovrebbe essere considerato come una condizione necessaria ma non sufficiente a garantire il rispetto dei requisiti della direttiva 96/61/CE. Per assicurare tale rispetto può essere necessario revedere valori limite di emissione più severi per le sostanze inquinanti contemplate dalla presente direttiva, valori di emissione relativi ad altre sostanze e altre componenti ambientali,e altre condizioni opportune."
(la direttiva 96/61 è quella relativa alla prevenzione integrata dell’inquinamento, recepita solo parzialmente in Italia nel 1999).
Per quanto concerne l’evoluzione tecnologica degli impianti di incenerimento (delle caldaie e dei sistemi di abbattimento fumi), metto all’attenzione le note che seguono.
a. I "vecchi" inceneritori le caldaie
La tecnologia delle caldaie per l’incenerimento dei rifiuti deriva da quelle delle centrali termoelettriche a carbone (primo inceneritore per rifiuti : 1890 circa, Londra) e, precisamente, dalle caldaie a griglia fissa.
Nella immagine viene presentato lo schema di una tipica caldaia a griglia : il rifiuto entra dallo spintore (da sinistra) e finisce sulla griglia, l’accensione del combustibile avviene con il combustibile ausiliario e il mantenimento della combustione avviene con l’invio di aria di combustione dal di sotto del "letto" di rifiuti, i rifiuti bruciano nel percorso lungo la griglia fino a che, in fondo a destra, vengono estratti gli incombusti (scorie pesanti).
Nella figura i fumi vengono inviati in una camera di postcombustione ove, ad opera della fiamma prodotta dalla immissione di combustibile ausiliario (metano, gasolio, olio o altro) avviene una ulteriore ossidazione dei composti trascinati dai fumi. Evidenzio che gli inceneritori degli anni ‘60-70 (e fino agli obblighi indicati da un provvedimento italiano del 1984) non avevano la camera di postcombustione (come sicuramente l’inceneritore di Pisa che è entrato in funzione nel 1980). Di conseguenza la figura mostra già un inceneritore "moderno".
Figura 2. Schema di caldaia di un inceneritore a griglia

L’obbligo di installazione della camera di postcombustione è conseguito dalla "scoperta" delle emissioni di PCDD e PCDF dagli inceneritori di rifiuti urbani, nel 1977. Si è ritenuto che tale dispositivo riducesse la formazione delle stesse e di altri composti tossici le norme più recenti non obbligano più l’installazione di tale dispositivo.
a. I sistemi di abbattimento fumi inceneritori di "prima" generazione
Nella figura viene mostrato una tipica configurazione di un sistema di abbattimento fumi di "prima" generazione (anni ’60 ’70).
E’ costituito da un "reattore" in cui i fumi venivano messi a contatto con una soluzione - o polveri -basica (es. calce, di recente viene utilizzata la soda solvay bicarbonato di sodio), con l’effetto di ridurre, per reazione di neutralizzazione, la presenza di sostanze acide (composti dello zolfo e acido cloridrico), dopo questo trattamento i fumi vengono fatti passare in un elettrofiltro o in un filtro a maniche per l’abbattimento delle polveri (nel caso dell’elettrofiltro per effetto del campo elettrico che viene creato che fa "scaricare" le polveri caricate lungo la parete del dispositivo per essere poi raccolte e smaltite; nel caso dei filtri a manica l’abbattimento è di tipo fisico ovvero connesso con la grandezza delle particelle di polvere rispetto alle dimensioni dei fori del filtro stesso, il filtro viene "scosso" meccanicamente per scaricare le polveri fermate dai filtri). Questi sistemi non permettono un abbattimento fino ai limiti attuali soprattutto dei microinquinanti (ad esempio le PCDD e i PCDF, ma anche i metalli più volatili come il mercurio - non sono sostanzialmente trattenuti da tali sistemi).
Figura 3. Schema di un sistema di abbattimento fumi per inceneritori di "prima generazione"

b. Le caldaie di nuova generazione
Limitandomi alla evoluzione impiantistica delle caldaie a griglia (sono recenti le applicazioni di nuove tipologie di impianti come i letti fluidi, i "pirolizzatori", i "gassificatori", le "torce al plasma" e proposte simili che rappresentano l’applicazione di tecnologie applicate ad altre modalità di combustione anch’esse derivate dalla combustione del carbone o di altri combustibili fossili) nella figura seguente si mostra un impianto "moderno" di questo genere.
Figura 4. Schema di un impianto a griglia "moderno"

In questo caso un impianto a griglia del tipo mobile (parte di sinistra) è stato abbinato a un forno rotante (in mezzo) : il rifiuto che entra nella bocca in alto viene traslato sulle griglie mobili e contestualmente combusto con l’immissione di aria dal basso, verso il basso vengono raccolte le ceneri leggere, le scorie rimaste al termine del passaggio sulla griglia mobile finiscono nel forno rotante dove avviene sia una postcombustione dei fumi che una riduzione degli incombusti nelle scorie stesse riducendone la tossicità (le più recenti normative impongono dei limiti nella frazione incombusta delle scorie pesanti) i fumi escono dal forno rotante e in parte vengono ricircolati (vedi canale posto sopra il forno rotante) cioè rientrano nella camera di combustione primaria mischiandosi all’aria comburente proveniente dall’esterno. Questo ricircolo (di norma intorno al 20% dei fumi uscenti in questo caso dal forno rotante, mentre il rimanente 80 % dei fumi viene inviato ai sistemi di abbattimento) ha l’effetto di ridurre sia i consumi energetici necessari al mantenimento delle temperature necessarie per una combustione "ottimale" sia la quantità complessiva dei volumi di fumi da trattare.
c. Evoluzione dei sistemi di abbattimento fumi
Nella figura sottostante viene mostrata una delle molteplici configurazioni "pluristadio" di abbattimento fumi, in questo caso prevede anche un recupero parziale dei reagenti chimici utilizzati per l’abbattimento dei fumi :
i fumi provenienti dalla caldaia vengono prima trattati in un elettrofiltro (abbattimento polveri di maggiori dimensioni) quindi vengono inviati in un reattore "semisecco" a contatto con una sostanza basica (gesso recuperato, vedi più avanti) per una prima riduzione delle sostanze acide presenti, i fumi passano quindi in un filtro a maniche per l’abbattimento delle polveri più fini, quindi in un "venturi" per la saturazione e dei gas e la solubilizzazione dell’anidride solforosa (che viene poi fatta reagire con la calce nella torre a spruzzo, producendo del gesso solfato - che viene poi utilizzato per il primo abbattimento sopra indicato), infine i fumi passano in una unità di conversione catalitica che riduce le emissioni di ossidi di azoto e diossine.
Figura 5a. Schema di un recente impianto di abbattimento fumi a stadi multipli

Un’altra configurazione possibile è quella che segue.
Figura 5b. Schema di un recente impianto di abbattimento fumi a stadi multipli
In questa configurazione vi è un sistema di denitrificazione (per la riduzione degli ossidi di azoto ridotto ad azoto molecolare) non catalitica mediante l’iniezione di ammoniaca (o urea) direttamente in caldaia, i fumi vengono poi fatti passare in un elettrofiltro (riduzione polveri di maggiori dimensioni), una riduzione della temperatura in tempi accelerati (per limitare le condizioni favorevoli alla formazione di microinquinanti organici), al lavaggio (con o senza reattivi basici) per la riduzione delle sostanze acide, alla iniezione di carbone per la riduzione dei microinquinanti (in particolare diossine e metalli pesanti) che vengono poi intercettate (parzialmente) sul filtro a maniche finale (anche per le polveri di dimensioni minori).
Come evidenziato, ci si è limitati a indicare, relativamente alla "evoluzione" delle caldaie ai sistemi a griglia (che sono quelli utilizzati da più tempo, più di un secolo) senza parlare dei nuovi impianti di tipo "alternativo" alle caldaie a griglia, mentre per quanto concerne la parte relativa all’abbattimento dei fumi le indicazioni qui contenute valgono per ogni tipo di caldaia.
Si accenna, da ultimo, al fatto che "a latere" di tali modifiche impiantistiche si sono sviluppati sistemi di selezione dei rifiuti in entrata agli impianti, per ridurre i rifiuti contenenti elementi potenzialmente pericolosi, e di trattamento delle scorie e delle ceneri (dal loro inglobamento in matrici cementizie a sistemi di sinterizzazione e/o vetrificazione) con l’obiettivo di ridurne la tossicità e rendere meno problematiche le successive fasi di smaltimento dei residui solidi.


3. Tossicità e cumulabilità dei tossici nell'ambiente e nell'uomo in relazione anche alle emissioni dagli impianti di incenerimento di rifiuti
Come già accennato, va posta la massima attenzione sul significato e le conseguenze di una esposizione ai microinquinanti emessi dagli inceneritori. Va anche ricordato che i limiti di esposizione a tossici (nell'ambiente interno ed esterno le fabbriche) non sono un risultato puramente "scientifico", ma rappresentano il compromesso di un dato momento realizzato fra Industria e mondo del lavoro sulla base dei rapporti di forza esistenti nella società, con la mediazione delle istituzioni politiche e sanitarie per tutelare la salute e l'ambiente. In altri termini, non possiedono alcuna validità oggettiva, non possono, nè vogliono, garantire l'assenza di effetti su tutti gli individui esposti nel breve e medio termine a tali contaminanti.
Tra i contaminanti sicuramente presenti nelle emissioni di un inceneritore compaiono, in particolare, una serie di sostanze per le quali è stata dimostrata la cancerogenicità per l'uomo; ricordiamo le principali secondo la classificazione della IARC:
1) sostanze cancerogene di gruppo 1 (sicuramente cancerogene: evidenza sufficiente per l'uomo): Arsenico e composti, Cromo esavalente, Fuliggini, Nichel e composti;
2) sostanze cancerogene di gruppo 2A (probabilmente cancerogene: evidenze limitate per l'uomo, evidenza sufficiente per l'animale): Benzoantracene, Benzopirene, Berillio e composti, Cadmio e composti, Dibenzoantracene;
3) sostanze cancerogene di gruppo 2B (possibile cancerogeno per l'uomo: evidenze limitate per l'uomo): Benzofluorantrene, Bifenili polibromurati, Clorofenoli, Dibenzopirene, Esaclorobenzene, Piombo e composti, 2,3,7,8 Tetraclorodibenzodiossina (TCDD); per quest'ultima di seguito entriamo nel dettaglio.
Come già accennato, le intrinseche proprietà tossiche delle diossine e dei furani, se possibile, sono ancor più insidiose per la salute umana a causa del fatto che questi composti, così come molti altri clororganici, non sono biodegradabili e si accumulano nei tessuti degli organismi viventi.
Data la loro maggiore solubilità negli oli e nei grassi, piuttosto che nell'acqua, essi tendono a spostarsi dall'ambiente verso i tessuti grassi e negli organi bersaglio come il fegato e a bioaccumularsi negli organismi viventi.
Per esempio, la 2,3,7,8 - tetraclorodibenzo - p - diossina (2,3,7,8 - TCDD) si accumula nei pesci in concentrazioni di 159.000 volte maggiori di quelle riscontrate nell'ambiente acquatico circostante. Questo rapporto è definito il "fattore di bioaccumulazione".
Esso è stimato maggiore di 10.000 volte per sostanze tossiche quali policlorobifenili (PCB), esaclorobenzene, octaclorostirene, dibenzofurani policlorurati (PCDF).
Lo stesso vale per il DDT, mentre l'esaclorobutadiene si bioaccumula secondo un fattore maggiore di 17.000.
Gli esseri umani occupano una posizione ai vertici della catena alimentare, risultando così i più esposti all'accumulo dei composti clororganici. Questi, sebbene nella loro maggioranza possano resistere a qualsiasi tipo di escrezione ed alterazione biochimica naturale, possono essere eliminati dal corpo umano tramite il sangue, il liquido seminale e il latte materno.
I composti clororganici sono quindi trasferiti da una generazione all'altra, in dosi probabilmente maggiori. I feti ricevono significative quantità di sostanze clororganiche attraverso la placenta.
Una volta nati, essi ne ricevono dosi maggiori anche con il latte materno, perchè queste sostanze tossiche si sono accumulate nel corpo della madre seguendo differenti fattori di biomagnificazione.
Valga per tutti il caso delle popolazioni Inuit, gli Esquimesi che popolano la regione artica del Quebec, in Canada.
Elevati livelli di sostanze clororganiche sono stati riscontrati nei loro tessuti e nel latte materno, in quanto essi si cibano principalmente di pesci e mammiferi marini, occupando il vertice di una catena alimentare molto semplice e diretta.
I composti clororganici e, in primis, le diossine, i furani e i policlorobi(tri)fenili sono riconosciuti come estremamente tossici, a causa di numerosi effetti dannosi per la salute umana e di numerose specie animali, che non hanno la possibilità di difendersi da sostanze che sono estranee alla natura. Tra gli effetti più ricorrenti si riscontrano disturbi delle funzioni riproduttive e una diminuita fertilità; difetti alla nascita, danni embrionali. Alcuni clororganici come, ad esempio, le diossine, i furani e i PCB possono distruggere il sistema immunitario e inoltre sono cancerogeni, mutageni e teratogeni. Praticamente tutti, in dosi anche minime, danneggiano il fegato, i reni (le diossine anche il sistema cardiocircolatorio) e il sistema nervoso.
Gli esseri umani risultano tra i più indifesi all'esposizione delle sostanze organiche clorurate, in quanto come tutti i mammiferi, essi hanno un ciclo di vita abbastanza lungo e non possono sviluppare efficaci sistemi di difesa in poche generazioni. Pertanto è facilmente comprensibile il fatto che, per esempio, negli Stati Uniti d'America e in Canada, sono stati identificati 177 composti clororganici nei tessuti grassi, nel latte materno, nello sperma e nel sangue umano. Tra i più ricorrenti composti ritrovati, si segnalano i policlorodibenzofurani, l'esaclorobenzene e i policlorobi(tri)fenili. L'estrema tossicità delle diossine e dei furani nei confronti dell'uomo, della donna e degli animali è stata ben dimostrata da autorevoli ricercatori, da Agenzie e Organismi internazionali, e sul punto non ci dilunghiamo oltre.
Indagini mediche hanno inoltre evidenziato elevati quantitativi di diossine nel sangue dei lavoratori addetti agli inceneritori (Vedi Schechter, A.J. et al "Dioxin Levels in Blood of Municipal Incinerator Workers", Med. Sci. Res., 1991).
Non va comunque taciuto, che in un rapporto compilato dall'USEPA si ribadisce la pericolosità della 2,3,7,8-TCDD. In esso si afferma che l'esposizione alla diossina e ai suoi composti può essere associata all'insorgere di diversi tumori, quali linfoma maligno, sarcoma dei tessuti molli, cancro alla tiroide e ai polmoni. D'altra parte che la 2,3,7,8-TCDD sia un cancerogeno multiplo non è una novità, vista la sua potente e persistente azione di agonismo e antagonismo nei confronti degli ormoni.
Il rapporto conclude contrastando quanto sostenuto dalle industrie e dai governi, tra cui quello italiano, e cioè che in realtà la diossina non è pericolosa per l'uomo e che gli effetti micidiali osservati su animali da laboratorio non sono validi per calcolare il rischio corso dagli esseri umani.
Al contrario, secondo l'USEPA: "Sebbene i dati esistenti relativi agli esseri umani siano limitati, i modelli osservati sugli animali appaiono generalmente appropriati anche in funzione della stima del rischio per l'uomo" (USEPA Office of Health and Environmental Assessment, 1992).


Cerco di dare alcune indicazioni in merito alle valutazioni e alle misure proposte da organismi internazionali per alcuni microinquinanti presenti anchenelle emissioni degli inceneritori.
I microinquinanti organici persistenti (POPs) sono costituiti da un gruppo di sostanze costituito principalmente dalle PCCD e PCDF, dai PCB, dall’esaclorobenzene e da diversi pesticidi organoclorurati. L’attenzione dei ricercatori, delle istituzioni sanitarie e dei governi (UNEP 1995) si è interessa, negli ultimi anni, su tali sostanze per le caratteristiche tossicologiche di queste sostanza, attive anche a microdosi, per la loro bassa degradibilità ambientale e, quindi, cumulabilità nell’ambiente e negli organismi, nonchè per l’accertata ubicuità di tali sostanze oramai distribuite su tutto il pianeta anche in luoghi lontanissimi dalle fonti quasi esclusivamente i paesi industrializzati - che le immettono nell’ambiente e per gli effetti sanitari emergenti dovuti all’esposizione a queste sostanze.
Tra i POPs figurano sostanze come già detto - che sono emesse anche dagli impianti di incenerimento, tra cui ricordiamo le PCDD/F e i PCBs.
Le istituzioni sanitarie hanno introdotto dei "limiti" di riferimento per tentare di "pesare" gli effetti dell’esposizione umana a queste sostanze.
Questi limiti (TDI o ADI) sono costituiti da "livelli giornalieri accettabili" ovvero da livelli di esposizione che, durante la vita media di un individuo, non dovrebbero comportare sulla base delle conoscenze scientifiche un rischio "apprezzabile".
Questi limiti si basano sul "Lowest observable effect level" (LOAEL) ovvero il livello di esposizione al di sotto del quale non si sono riscontrati effetti negativi sugli animali da laboratorio. Di norma i LOAEL ottenuti sugli animali sono estrapolati nell’uomo riducendoli di due ordini grandezze (1/100) .
L’OMS, con questo sistema, ha definito nel 1990 - un TDI per la sommatoria delle PCDD, dei PCDF e dei PCB "dioxin-like" pari a 10 picogr TEQ per kg di peso corporeo al giorno (esposizione cronica su 70 anni di vita media) (vedi WHO Environmental Health Criteria 88, Polychlorinated Dibenzo-para-dioxins and Dibenzofurans, IPCS WHO 1989 e WHO Consultation on tolerable daily intake from food of PCDDs and PCDFs : Summary report , WHO regional office for Europe, EUR/ICP/RCS O30S), nel 2000 l’OMS ha rivisto tale limite e ha proposto due valori 1 pg TEF/kg/giorno come valore "obiettivo" e 4 pg TEF/kg/giorno come limite massimo (v. WHO "WHO experts re-evaluate kealth risk of dioxins", WHO/45, 3 giugno 1998; WHO "Assessment of the health risk of dioxins : re-evaluation of the Tolerable Daily Intake (TDI), WHO Consultation, 25-29 maggio 1998, Ginevra). Nella revisione in corso si intende portare il valore a 1 pg TEF/kg/giorno come limite al di sotto del quale non si sono riscontrati effetti sullo sviluppo neurologico e del sistema endocrino, in altri termini ridurre i correnti livelli medi di esposizione che nei paesi industrializzati sono stimati tra i 2 e i 6 picog TEQ giornalieri per kg di peso corporeo.
Per comprendere, fino in fondo, l'estrema tossicità delle diossine, basti dire che considerando la dose massima giornaliera inizialmente ammessa dall'Organizzazione Mondiale della Sanità (10 picogr TEQ kg/giorno), la dose annua "tollerabile" per un individuo di 60 Kg di peso sarebbe di soli 219 nanogrammi (ng) e cioè circa 0,22 microgrammi (µg).
Un solo grammo di diossina rappresenterebbe pertanto la dose annua per 4.500.000 persone ! In questo contesto si può ben comprendere il significato che rivestono i milligrammi e i grammi di diossine e furani originati ed emessi nell'ambiente da un impianto di incenerimento per R.S.U. o per rifiuti speciali (R.S.) o per rifiuti tossico-nocivi (R.T.N.) e pericolosi.

Questi limiti sono stati sottoposti a osservazioni critiche, le principali evidenziano che la definizione stessa di un limite non equivale a un "rischio zero" riferito in particolare agli effetti cancerogeni di tali sostanze, ovvero, in altri termini, che non ci sono delle dosi senza effetto per sostanze che hanno la caratteristica di essere dei "distruttori endocrini" e/o di possedere un potere cancerogeno, mutageno e/o teratogeno.
Inoltre è stato evidenziato che questi limiti non possono essere considerati "protettivi" per la salute individuale e pubblica in quanto considerano l’effetto tossicologico di una sostanza alla volta, ma non valutano la realtà dell’esposizione umana e ambientale ad un insieme di sostanze con caratteristiche tossicologiche più o meno simili, comprensive degli effetti sinergici o cumulativi delle stesse. Un’ultima critica è stata avanzata in merito al fatto che non tengono conto della particolare reattività degli individui nella fase della crescita (neonati) che hanno forme di difesa dalle aggressioni esterne diverse e meno efficaci degli individui adulti.
L’EPA ha proposto delle soglie di esposizione individuale, sempre rimanendo alle diossine e per le diverse vie espositive (inalazione, ingestione, contatto dermico), pari a 0,01 pg TEF/kg/giorno (EPA 1994, Health assessment document for 2,3,7,8-tetrachlorodibenzo-p-dioxin (TCDD) and related compounds. Volume II of III, EPA 600/BP-92/001c), questo valore, secondo questa Agenzia, terrebbe conto anche degli effetti cancerogeni. Va ricordato però che tali soglie sviluppate dall’EPA a partire dalla fine degli anni ’60 per motivi amministrativi - appaiono anch’esse arbitrarie in quanto questo limite definirebbe una soglia di "accettabilità" al rischio cancerogeno. L’EPA individua tale soglia nella concentrazione di esposizione di una data sostanza equivalente ad un rischio aggiuntivo di patologie neoplastiche pari o inferiore a 1 caso ogni milione di abitanti (1 * 10 6), quale parametro di rischio accettabile per la popolazione generale esposta cronicamente per tutta la vita a quella sostanza cancerogena.
Infatti l’EPA individua altre "soglie" : un rischio tollerabile per la popolazione lavorativa tra 1 caso aggiuntivo ogni 100.000 esposti e 1 caso aggiuntivo ogni 10.000 esposti, range di rischio che viene contestualmente giudicato come socialmente inaccettabile, mentre una valutazione di esposizione da cui risulterebbe un rischio aggiuntivo superiore a 1 caso ogni 10.000 esposti viene indicato come socialmente inaccettabile.
Un esempio di applicazione di tale principio viene mostrato nella tabelle che segue e relativa alla proposta di un impianto di incenerimento ad Arcola (La Spezia).
Per quanto concerne le PCDD e i PCDF l’estensore dello "studio di compatibilità " dell’impianto ha dichiarato di aver estrapolato un limite di qualità dell’aria dalle indicazioni dell’EPA, pari a 0,039 picogr/mc, corrispondente ad un rischio di incremento di tumori inferiore a 1 su 1.000.000, cioè "accettabile".
Dal raffronto di tale soglia con quella stimabile dalla ricaduta dell’emissione del progetto di inceneritore, sulla base delle emissioni previste e delle caratteristiche meteo-climatiche della zona, l’estensore ritenne dimostrata l’assenza di rischio l’accettabilità del rischio nel caso di specie. L’estensore dello studio dovette però rivedere il proprio modello di ricaduta riverificando le valutazioni inerenti la ricaduta dei contaminanti, ma si dimenticò di farlo anche per i microinquinanti. Nella tabella sono mostrati per estrapolazione dei dati dell’estensore dello studio e applicando il medesimo modello i risultati di tale stima che evidenzia il superamento dei "limiti" ricavati dall’estensore dello studio per le PCDD/PCDF, e non solo.
Tabella 16. Raffronto tra le "concentrazioni massime ammissibili" di alcuni microinquinanti e le concentrazioni stimate in atmosfera all’altezza del suolo nello Studio e nelle Integrazioni CIR (La Spezia)
Contaminante
Concentrazioni massime ammissibili (*)
Concentrazioni in aria all’altezza del suolo, Studio di impatto ambientale (*)
nanogr/mc
Concentrazione in aria all’altezza del suolo, Integrazione all’impatto ambientale (**) nanogr/mc

nanogr/Nmc
Camino da 80 m
Camino da 40 m
Camino da 80 m
Camino da 40 m
Mercurio
200
0,5
1
40
119-60
Cobalto
690
5
10
//
//
Manganese
33
5
10
//
//
Diossine (Teq)
0,039 picogr/mc
0,0011 picogr/mc
0,0022 picogr/mc
1 picogr/mc
0,08 picogr/mc
Cadmio
0,93
0,5
1
40
119-60
Cromo
0,14
0,05
0,1
//
//
Fonti:
(*) pag 174 dello Studio di compatibilità CIR
(**)elaborazione dell’autore (per diossine e mercurio) sulla base delle tabelle riportate a pag. 12 e 13 delle Integrazioni allo studio di compatibilità CIR.
Si evidenzia che la "concentrazione massima ammissibile" in atmosfera, indicata nello studio relativo all’impianto di Arcola, equivale a quella indicata dalla Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale dell'Istituto Superiore di Sanità nel 1988 (pari a 0,04 picogr/mc), concentrazione che viene considerata come "livello d'azione" finalizzato a mantenere l'esposizione umana al di sotto di 1 picogr/kg/giorno (nello Studio viene presentato un "fattore di pendenza" per la 2,3,7,8 TCDD pari a 15 picogr/kg/giorno).
Tabella 17. Limiti tecnici di riferimento previsti per la bonifica del terreno contaminato di Seveso e limiti massimi "fissati" per i diversi comparti ambientali per le PCDD e per i PCDF.
Matrice ambientale
Limiti massimi "fissati" ai fini della bonifica del territorio di Seveso, definiti dalla Regione Lombardia
Limiti tecnici previsti per la bonifica del territorio contaminato di Seveso
(CCTN) (*)
Livelli "d'azione" (CCTN) (**)

2,3,7,8 TCDD (a)
2,3,7,8 TCDD (a)
PCDD+PCDF (b)
aria ambiente esterno
n.p.
n.p.
0,00004 nanogr/m3
aria ambiente di lavoro
n.p.
n.p.
0,00012 nanogr/m3
acqua potabile
n.p.
n.p.
0,00005 nanogr/litro
acque reflue industriali
n.p.
n.p.
0,00050 nanogr/litro
terreno coltivabile
750 nanogr/m2
750 nanogr/m2
0,010 nanogr/gr
terreno non coltivabile
5.000 nanogr/m2
5.000 nanogr/m2
0.050 nanogr/gr
pareti esterne
750 nanogr/m2

75 nanogr/m2
pareti interne
10 nanogr/m2
10 nanogr/m2 (c)
25 nanogr/m2
Note:
a) Limiti riferiti alla sola 2,3,7,8 Tetraclorodiossina, il più tossico tra le TCDD.
b) Limiti riferiti alla somma delle PCDD e delle PCDF espresse come TCDDequivalenti (TE).
c) Sono previsti anche limiti cumulativi per le PCDD e i PCDF pari a 1.000 nanogr/m2 per ambienti interni e macchine.
(*) Parere della Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale sui limiti tecnici di riferimento da adottare per le PCDD e le PCDF, seduta del 12.11.1985.
(**) Parere della Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale sui PCDD e le PCDF, seduta del 12.02.1988.

Va anche ricordato che per quanto concerne le PCDD e i PCDF è stata introdotta la cosiddetta scala TEF (tetraclorodibenzidiossine equivalenti) finalizzata a "pesare" la tossicità di un gruppo di isomeri di tali sostanze, ponendo pari a 1 la 2,3,7,8 TCDD (la cosiddetta diossina di Seveso), e gli altri isomeri pari a frazioni (da 0,5 a 0,0001 per PCDD e PCDF).
Questo sistema di valutazione delle concentrazioni delle numerose sostanze indicate come PCDD e PCDF è stato anch’esso sottoposto a critica, evidenziando che tale sistema sia una semplificazione della situazione reale e può non essere sufficientemente accurato nella descrizione degli effetti tossicologici.
Anche questo sistema applicato negli anni ’80 da diversi paesi e istituzioni ambientali e sanitarie - è stato sottoposto a numerose rivisitazioni che hanno, nel tempo, da un lato ridotto le differenze tra la 2,3,7,8 TCDD e gli altri isomeri e dall’altro ridotto il numero delle scale di riferimento (attualmente ridotte principalmente a 3 : quella dell’EPA, quella dell’OMS e quella dell’Unione Europea) per quali permangono ancora delle differenze. Ad esempio la 1,2,37,8 PentaCDD ha un fattore equivalente di tossicità pari a 0,5 nella scala Europea mentre in quella dell’OMS è pari a 1; le Octa CDD e le Octa CDF nella scala europea sono pari a 0,001 mentre in quella OMS sono pari a 0,0001. Ciò porta a valori diversi, per la stessa concentrazione di isomeri delle TCDD e delle PCDD, di TEF.
Inoltre, nel caso dell’Europa, non esistono ancora delle scale di TEF per i PCB (mentre sono stati proposti dall’OMS) per cui in Europa i PCB non vengono semplicemente considerati ( e sono stati addirittura eliminati tra i parametri per i quali vige l’obbligo di misurazione per le emissioni dagli inceneritori) mentre l’OMS li comprende (con fattori che variano da 0,1 a 0,00001 a seconda delle diverse sostanze classificate come PCB) e li "conta" nella proposizione di limiti di esposizione.
Come abbiamo già detto, la maggiore fonte espositiva per l’uomo per i POPs, e dunque anche per le PCDD e i PCDF, è rappresentata dalla catena alimentare, infatti, anche a parità - o a vicine - concentrazioni nelle diverse matrici ambientali di POPs, sono stati verificati significative differenze nella esposizione ovvero nei tessuti umani in funzione delle caratteristiche della dieta locale.
Rimanendo a PCDD, PCDF e PCB, avendo queste sostanze una spiccata caratteristica di lipofilità (sono insolubili nell’acqua ma si sciolgono nei grassi), si è riscontrata una maggiore esposizione nelle popolazioni nella cui dieta hanno un peso maggiore cibi con maggiore contenuto di grasso (latte, pesci, carni).
Non esistono dei limiti riconosciuti internazionalmente concernenti la presenza di tali sostanze negli alimenti, ma alcuni paesi hanno fissato dei limiti per determinati alimenti e/o per i suoli agricoli.

Tabella 18. Limiti fissati in alcuni paesi europei inerenti le concentrazioni massime nella sostanza grassa del latte di PCDD/PCDF
Stato
Concentrazione (pg ITEQ /g di sostanza grassa nel latte)
Note
Belgio
5

Germania
< 0,9
3,0

5,0
obiettivo di lungo termine
valore di intervento di primo livello : obbligo di miscelazione del latte contaminato con altro provenienti da fattorie e misure di contenimento delle fonti
valore di intervento di secondo livello : divieto di commercializzazione del latte
Olanda
6
Limite massimo da non superare
Gran Bretagna
16,6
comprensivo di PCBs
Austria
35
Indicato dal Ministero della Sanità, l’Agenzia per l’ambiente raccomanda il non superamento del limite olandese
Francia
1,0
> 5,0
Obiettivo di riferimento
Divieto di immissione sul mercato

Oltre ai limiti sopra indicati, per rimanere all’Europa, la Germania ha fissato in 10 pg ITEQ/g di peso asciutto (equivalente a 1 pg ITEQ/g su peso tal quale) quale limite per alcuni vegetali; inoltre, nel caso dei suoli, un superamento del limite di 40 pg ITEQ/g di sostanza secca, implica la definizione di pratiche agricole e la coltivazione di piante con caratteristiche biologiche tali da ridurre l’accumulabilità nei vegetali.
In Italia come vedremo anche più avanti un suolo a destinazione residenziale con una concentrazione superiore a 10 pg ITEQ/g (10 nanogr/kg) di sostanza secca è da considerarsi come sito contaminato dal DM 471/99.
Rammento da ultimo i limiti fissati dall’Unione Europea dopo la contaminazione di alimenti animali in Belgio nel 1999 da PCBs e diossine pari a 0,2 pg ITEQ/g di sostanza grassa per le carni fresche di pollo e maiale ed i prodotti da loro derivati. Infine rammento il limite, sempre dell’Unione Europea, fissato a 0,5 pg ITEQ /g riferiti alla polpa di limone utilizzata come mangime per animali (bovini) che aveva provocato una emergenza sanitaria in alcuni paesi (in particolare la Germania) a causa della importazione di mangime contaminato dal Brasile.
A fronte di questi limiti diversificati, qual’è la situazione attuale nei paesi ove sono state condotte delle indagini ?
Tabella 19 Sommario degli studi relativi alla esposizione a PCDD/PCDF e PCBs che hanno evidenziato il superamento di limiti internazionali

Paese/Alimento
Superamento di limiti
Dieta complessivaSpagnaGran Bretagna (bambini)Svezia del sud (consumatori di pesce)Taiwan del sud (consumatori di pesce di acqua dolce)
Superamento del TDI dell’OMS per diossine, furani e PCB
Dieta complessivaItaliaIsole Faroe (consumatori di carne)Popolazione Inuit del circolo artico, Canada
Superamento del TDI per PCB
Dieta complessivaIndiaIsole Faroe (consumatori di carne)Popolazione Inuit del circolo artico, Canada
Superamento ADI OMS/FAO per aldrin e dieldrinSuperamento ADI OMS/FAO per toxaphene
Pesci di acqua dolceSpagnaAustralia
Superamento MRL OMS/FAO per eptacloro e eptacloro epossido Superamento MRL OMS/FAO per PCB e chlordane
CarneVietnamMessico
Superamento MRL OMS/FAO per DDT
Latte e derivatiHong KongArgentinaMessico
Superamento MRL OMS/FAO per eptacloro e eptacloro epossido

In aggiunta a quanto riportato nella tabella 19 è da segnalare che, nel 1997, un’indagine del Ministero dell’Agricoltura francese (Direction générale de l’alimentation "Resultats du plan de surveillance de la contamination des produits laitiers per les dioxines", 28 mai 1997) ha evidenziato tassi allarmanti di diossina riscontrati nel latte prodotto in 34 dei 95 Dipartimenti del Paese. In tre Dipartimenti del Nord l’area a maggiore vocazione lattiera il tasso riscontrato è superiore a 3 picogrammi per grammo di grassi dei prodotti lattiero-caseari analizzati, rispetto ad un valore di riferimento che non dovrebbe superare 1 picogrammo, mentre a 5 picogrammi scatta la proibizione del consumo. La diossina dispersa nell’atmosfera appare dovuta all’attività degli inceneritori.
Lo studio in oggetto ha verificato che 40 prodotti analizzati (20 formaggi, 8 di burro, 12 di prodotti freschi) erano tutti contaminati da diossine. Il calcolo della razione giornaliera riferita in particolare a neonati ha evidenziato un superamento dei limiti individuali fissati dal Ministero della Sanità (ovvero 1 picogrammo di diossina per chilogrammo di peso corporeo al giorno): infatti un bambino di 10 anni del peso di 30 kg, stando a tale limite, non deve ingerire più di 30 picog/kg al giorno, mentre ipotizzando una razione giornaliera di 500 ml di latte, due porzioni di burro da 10 g, due yogurt da 150 ml e due porzioni di formaggio da 30 g si troverebbe a ingerire tra 156 e 92 pg di TCDDeq al giorno (corrispondenti ai prodotti a maggiore contaminazione e a quelli a contaminazione media). A tale esposizione, continua questo studio, va aggiunta quella derivante da altri alimenti a base di grassi animali in cui si è accertata la maggiore contaminazione da diossine; tale apporto supplementare è in grado di raddoppiare l’esposizione sempre per un bambino di 10 anni - quello derivante dai prodotti lattiero-caseari.
Le prefetture hanno vietato a sedici aziende agricole la vendita del latte prodotto e sono stati chiusi gli inceneritori di Halluin, Wasquehal e Sequedin (zona di Lille) assieme a quello di Maubeuge, nel nord del paese, dove si è accertato il superamento di 1.000 volte il vigente limite previsto dalle direttive dell’Unione Europea sulle diossine. Tant’è che la Francia sta riconsiderando la sua politica di smaltimento dei rifiuti urbani da decenni basata sull’incenerimento e sta sottoponendo gli impianti di incenerimento, fino a ieri vantati come sicuri e non inquinanti, a verifiche approfondite.
Analoghe verifiche sono in corso in Belgio per l’impianto di Anversa come per quelli di Weurt e Lathum in Olanda. In Olanda, è utile ricordarlo, nel 1989 l’inceneritore di Rotterdam fu spento e la produzione di latte del circondario fu distrutta per diversi anni per l’elevata presenza di diossine. In alcuni casi si sono verificate contaminazioni tra 11 e 14 nanog/l in TCDDeq a fronte di un limite massimo fissato in Olanda a 0,1 nanog/l; questo inquinante ha interessato anche in aziende di agricoltura biologica considerate erroneamente - al di fuori dell’area "a rischio".
Come già accennato la maggiore fonte espositiva (valutata in un range tra il 70 % e il 95 % a seconda delle condizioni socio-territoriali locali) ai microinquinanti clorurati è dovuta alla alimentazione per gli effetti di cumulabilità nella catena alimentare sopra ricordati. Per quanto concerne la presenza di questi tossici nell’aria le fonti sono concordi nell’evidenziare valori più elevati in prossimità di fonti di esposizione (inceneritori, impianti industriali correlati con l’emissioni di tali inquinanti, arterie di elevato traffico stradale) rispetto a zone considerate non disturbate e che subiscono "solo" gli effetti del trasporto su lunga distanza degli inquinanti atmosferici; i valori riscontrati in studi nei paesi industriali hanno dei range molto variabili, da 5 picogr/mc (caso di un inceneritore tedesco) a valori di mille volte inferiori.
L’indicazione della Commissione Consultiva Tossicologica Nazionale, come livello di azione, è pari ad una concentrazione di 0,04 picog/mc.
In Italia sono pochissimi gli studi in proposito, tra questi citiamo un recente studio svolto tra il 1995 e il 1996 in diverse zone della città di Milano è stata stimata una media di 0,0208 picog/mc nell’atmosfera di TCDDeq (come somma di PCB, PCDD e PCDF per il PCB è stato valutato un apporto pari al 10 %) con una distribuzione dei numerosi isomeri delle PCDD e dei PCDF "molto simile a quello delle emissioni dei forni di incenerimento dei rifiuti solidi urbani (nell’arco di 10 km dalle zone indagate sono attivi 3 impianti di questo genere ndr) e di processi metallurgici" (R. Fanelli, E. Davoli in AAVV "Il benzene e altri composti aromatici: monitoraggio e rischi per l’uomo", Fondazione Lombardia per l’Ambiente, 1998, pp.133÷151).
Studi precedenti sulla base di 18 analisi dell’aria urbana di Firenze e di 10 analisi dell’aria urbana di Roma hanno evidenziato concentrazioni di PCDD e PCDF : per Firenze, tra un minimo di 0,072 picog/mc in Teq e un massimo di 0,2 picog/mc in Teq, e per Roma, tra 0,048 e 0,277 picog/mc di Teq, con una concentrazione media per le due città stimata in 0,062 picog/mc.
(Berlincioni et al. 1995, 1993, 1992, Turrio-Baldassarri et al. 1994; riportati in "Compilation of EU Dioxin Exposure and Health Data - Task 2, Environmental levels", European Commission DG Environment, ottobre 1999, pag. 8, e "Annex Task 2", pag. 52).
Che tale questione sia tuttora all’ordine del giorno è confermato dal Seminario "Dioxins in the air", organizzato dall’Agenzie per l’ambiente del Belgio, con il patrocinio della Commissione UE, che si terrà a Bruges dal 19 al 20 novembre 2001.
Da ultimo va ricordato che nelle prossimità di un impianto di incenerimento o di altre grosse fonti di combustione (o anche aeroporti, nei coni di atterraggio e decollo) si possono verificare sia consistenti incrementi nelle concentrazioni in aria all’altezza del suolo di contaminanti "tradizionali" (ossidi di azoto, ossidi di zolfo in particolare) che di altri microinquinanti (idrocarburi policiclici aromatici) tali anche da incrementare il numero dei superamenti della soglia di attenzione previsti dalla normativa vigente (tale evenienza sarebbe preventivabile anche nel caso di alcuni metalli pesanti, se per questi esistessero dei limiti di qualità dell’aria). Si rimanda a quanto già detto, in via generale, alla problematica relativa alla cumulabilità degli impatti in un determinato territorio soggetto alla realizzazione di nuove opere con impatti elevati.










BRESCIA
REZZATO (Brescia) - Centosettanta milioni di euro per il rinnovo degli impianti e per l’ambiente. È quanto prevede il progetto di rinnovamento dello stabilimento Italcementi di Rezzato-Mazzano (Brescia), presentato ieri. Il gruppo ha deciso di intervenire sull’impianto con un piano che intende coniugare le due esigenze, con le migliori tecnologie disponibili sul mercato. In dettaglio, sarà realizzata una nuova linea produttiva del cemento grigio in sostituzione delle attuali due. L’investimento collocherà la cementeria ai primi posti al mondo. Molti i vantaggi anche sul piano ambientale del nuovo impianto: tra questi una riduzione tra il 20 e l’80% di tutte le emissioni. Le amministrazioni di Rezzato e Mazzano hanno ricevuto lo studio di impatto ambientale. L’iter valutativo sarà avviato oggi.

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